I proverbi in Agricoltura e sul Clima

28 Ottobre 2019 by

 

 

Fotografia ed editing video Alessandro Scramuzza

I proverbi in Agricoltura e sul Clima

 

I proverbi, espressione della cultura e della tradizione di un popolo

Buon pomeriggio. Ringrazio: le signore, i signori, gli studenti, i professori. La stretta collaborazione fra Acc. dei Georgofili, Dipartimento di Scienze Umanistiche, Dipartimento di Scienze Agrarie e Assessorato all’Agricoltura ha consentito questo incontro.

Una citazione quasi profetica di Niccoló Tommaseo.

Se tutti si potessero raccogliere, e sotto certi capi ordinare, i proverbi italiani, i proverbi d’ogni popolo, d’ogni età, colle varianti di voci, d’immagini e di concetti, questi, dopo la Bibbia, sarebbe il libro più gravido di pensieri”.

Ed è da questa profezia che inizia la nostra chiacchierata sui proverbi e in particolar modo su quelli dedicati al mondo agricolo.
La letteratura sull’argomento ha sempre richiamato interesse per il fascino che i proverbi sanno esercitare, soprattutto quelli agrari, non solo come espressione della cultura, della tradizione e della saggezza di un popolo, ma come schietta testimonianza di quella civiltà contadina nella quale affondano le nostre più solide radici.
Qualche apparente contraddizione, che può essere talvolta superficialmente riscontrata tra proverbi diversi, va ascritta proprio alla saggezza di chi ha empiricamente conosciuto e cerca di far comprendere la relatività delle cose e la complessità di quanto è sempre possibile.

La maggior parte dei proverbi ci è giunta dall’antichità; per lo più tramandata oralmente.
Filosofi del calibro di Pitagora, Socrate, Platone, Aristotele, Zenobio, (fu autore di una raccolta di proverbi in tre libri), un commediografo come Menandro, si occuparono dell’argomento e ne raccolsero alcune testimonianze.
I proverbi riscossero un’uguale fortuna tra i Romani.
L’attività letteraria tesa alla raccolta di proverbi, è legata ad autori come Tito Maccio Plauto commediografo romano,  il mimo antiochèno Publilio Siro  e il favolista latino  Fedro.

I proverbi continuarono a godere di grande attenzione nel Medioevo. Il proverbio ha accompagnato la nascita del Volgare.
Nel formarsi della tradizione medievale ebbe parte degna di nota  il Corpus Paroemiograohorum Graecorum: (Zenobio, Diogeniano, Plutarco e Gregorius Cyprius, di Ernst von Leutsch, Friedrich Wilhelm Schneidewin – Data di pubblicazione 1851 EditoreVandenhoeck et Ruprecht).
Ma gli scrittori medievali non si limitarono a sistematizzare il patrimonio proverbiale preesistente, ma ne raccolsero di nuovi come:

  1. mettere il carro davanti ai buoi”;
  2. “chi troppo vuole poco stringe”;
  3. “non aspettare che le allodole ti cadano in bocca già arrostite”;
  4. andare a Canossa”; (espressione divenuta proverbiale).

dal ‘Libro d’Ore con proverbi’ –Bibliothèque nationale de France, Parigi.

 

Il proverbio ha svolto una funzione importante nei testi del Cinquecento. Le prime raccolte (paremiografiche) risalgono al Rinascimento,  in tal senso  pionieristica è l’opera di Erasmo da Rotterdam che raccolse, sotto il titolo di Adagia, oltre 4.000 paremie.
L’idea era quella di raccogliere e commentare detti, proverbi, massime, modi di dire popolari provenienti dal mondo classico, corredandoli con indicazioni inerenti alla forma, all’origine e all’autore, interpretandone il significato e organizzandoli tematicamente.
La raccolta “Adagiorum collectaneaè stata divulgata nelle varie culture delle popolazioni europee, e tradotta nelle varie lingue.

Sempre in clima rinascimentale dobbiamo citare:

Il Cervantes, (“don Quijote de la Mancha”)

Non diasi proverbio che non sia vero, perché tutti contengono sentenze tratte dall’esperienza, madre di tutto il sapere”.

Verissimo è poi quello che dice:

dove una porta si serra, un’altra se ne apre”.

Shakespeare 

  1. “Measure for measure”. Suggerisce il contrappasso di Dante,
  2. “All is well that ends well”
  3. While the grass grows the steed (horse) starves. The proverb is musty”,

Pieter Bruegel il Vecchio, i “I Proverbi fiamminghi

 

È un dipinto a olio su tavola”.
Il tema della rappresentazione moraleggiante dei proverbi popolari della cultura fiamminga era già stato praticato da Bosch (nelle scenette della tavola dei Sette peccati capitali) o dallo stesso Bruegel (nei Dodici proverbi).
Bruegel compone un vero e proprio “paese dei proverbi” (120 scene) dove le varie attività umane rispecchiano una serie di azioni legate a una riflessione sulla follia e i vizi.
Ma gli intenti dell’artista non dovevano essere esclusivamente, una  critica della società, ma anzi un omaggio e un riconoscimento all’immediatezza, all’ironia della saggezza popolare.

Bruegel e i 12 proverbi

In una tavola abbastanza scura sono allineati su 4  file 12 medaglioni, ciascuno contenente una figura che illustra efficacemente un proverbio o un modo di dire fiammingo.

  1. “Bere di continuo, anche da ubriachi, induce in povertà, disonora il nome e mena alla rovina”
  2. “Io sono un opportunista, d’un genere tale per cui voglio sempre il mantello dove il vento spira”
  3. “Porto il fuoco in una mano, l’acqua nell’altra, e passo il tempo con pettegoli e donnette” (cioè seminare discordia usando una doppia faccia)
  4. “Nel fare baldoria nessuno mi stava alla pari; adesso, finito in miseria, me ne resto fra due sedie, seduto sulla cenere” (finire in miseria per l’indecisione)
  5. “Il vitello mi guarda con occhio smarrito; che serve se chiudo il pozzo quando ormai è annegato?” (cioè è inutile provare rimorso tardivo se non giova a niente)
  6. “Se a qualcuno piace faticare inutilmente, getti rose ai porci” (come il proverbio italiano “Gettare le perle ai porci”, cioè fare buone azioni per chi non se le merita)
  7. “L’armatura fa di me un buon guerriero e attacco un campanellino al gatto” (cioè la tenuta militare rende arditi anche i paurosi, e la poca discrezione rende i piani segreti noti)
  8. “La fortuna del vicino mi strazia il cuore; non sopporto che il sole si specchi nell’acqua” (cioè l’invidia impedisce la felicità)
  9. “Sono bellicoso, fiero e iracondo; perciò batto la testa nel muro” (cioè l’iracondo è causa dei propri guai)
  10. “A me tocca il magro, il grasso agli altri: e pesco sempre fuori dalla rete” (cioè l’incapace si arrabbia invano)
  11. “Mi copro con un mantello celeste; ma quanto più mi nascondo, tanto più mi riconoscono” (cioè l’infedeltà della moglie rende famoso, suo malgrado, il marito)
  12. “A qualunque cosa io miri, non riesco mai a ottenerla: orino sempre contro la luna” (cioè non si devono nutrire aspirazioni troppo alte)

Non tutti i proverbi che oggi usiamo sono attestati nelle varie raccolte latine. Non è raro sentire, in Italia, proverbi  di origine latina come:
In vino veritas o In medio stat virtus.. oppure “De gustibus non disputandum est)”
E qui abbiamo Una bella “striscia” di Charles Monroe Schulz in cui Snoopy, il cane di Charlie Brown, fa una battuta divertente sul proverbio latino

Errare humanum est,  perseverare sicuramente ovest

 

Dopo il ‘500 il proverbio perde progressivamente terreno in campo letterario, sino al recupero che ne hanno operato i veristi mossi da intenti realistici.
Ed è con la corrente letteraria del Verismo che il proverbio trova posto come

strumento di espressione delle classi rurali.

Questa ricerca si inscrive nel generale programma verista di documentare  scrupolosamente il mondo da rappresentare, sia quello delle classi subalterne, sia quello della borghesia emergente, che quello delle classi colte ed aristocratiche.

Tale ricerca e l’uso dei proverbi e di altro materiale folkloristico la troviamo nella corrispondenza del Verga  con l’amico Capuana, in cui esprime:
il desiderio di effettuare dei “sopralluoghi“, per la ricerca del “tono locale“.
Scriveva inoltre: “A proposito, mi hai trovato una ‘ngiuria che si adatti al mio titolo? Che ti sembra de I Malavoglia?
Potresti indicarmi una raccolta di proverbi e modi di dire siciliani?”.
E manifestava il desiderio, d’andare a stare una settimana o due, a lavoro finito, ad Aci Trezzaper cogliere  “il tono locale”.
In altre lettere, sempre indirizzate al Capuana, lo prega di mandargli tutte quelle raccolte di proverbi e modi di dire siciliani“.
Il 20 aprile 1879 riscrive al Capuana
” … Ti rimando il tuo Pitrè, giacché del Pitrè ne avevo anch’io una copia,  e non ci avevo trovato gran cosa.
“Ciò che vado cercando con desiderio è la Raccolta di Proverbi dell’Abate Santo Rapisarda stampata in Catania e introvabile”.
I proverbi, nell’utilizzazione fatta da Verga per i Malavoglia, esprimono regole generali di comportamento:
l’attaccamento al lavoro e alla famiglia, le inquietudini, le paure, le angosce e le condizioni di vita durissime delle classi subalterne”.
 

Mi fa piacere riportare da ”Eco di saggezza popolare”, del prof. Riccardo Monastero, un proverbio che, “in contrapposizione al tenore di vita e agli agi del “signore”, recita: a lu viddanu ‘un ci attòccano ‘nguànti, ma zappa ‘ncòddu e sceccu davanti

Anche in Pitrè studioso di folclore, ricercatore di tradizioni popolari siciliane, la passione per i proverbi, sorse fin dall’infanzia:
egli aveva ascoltato i numerosi familiari ed amici che infioravano di proverbi ogni discorso;
altrettanto forte era l’attrazione per le raccolte di proverbi: in collegio s’imbatté nella Raccolta di proverbi Toscani del Giusti“.
Analogo era in Pitrè il desiderio di documentarsi dalla “viva voce del popolo“, come dimostra una lettera ad un amico, dell’11 ottobre 1876, nella quale s’intuisce “che egli teneva a recarsi a Cianciana”, ……..sperando probabilmente di potervi fare incontri fruttuosi fra la gente che in quella stagione attendeva alla vendemmia.
Il proverbio, secondo la definizione data dal Pitrè nella sua Raccolta (“Proverbi siciliani raccolti e confrontati con quelli di altri dialetti d’Italia), è:
un motto popolare, breve, conciso, che vale quando come una sentenza e quando come una massima, acconcia (appropriato) ed è creduta tale per la condotta pratica della vita“.

Vincenzo Bondice nella prefazione alla sua “Raccolta di Proverbii siciliani in ottavesi domanda:
Più centinaia (di proverbi) ne scrisse il Marracalese Paolo di Catania; più centinaia il Chiar. Sac. Santo Rapisarda;   ma
“sono essi que’ tutti, che dagli antichi abbiamo ricevuti?   No; di dì in dì ne ascoltiamo con nostra sorpresa uscir dal labbro del volgo dei nuovi ……..tutti curiosi e frizzanti e sempre più va ad accrescersi a dismisura il loro catalogo“.
Vincenzo Bondice nella prefazione afferma: I proverbi sono precetti di civiltà, di morale, di verità………..
………….ne vi ha chi ne ignori l’utile e l’eccellente di essi. I proverbi sono i maestri di tutte le nazioni, gli oracoli di tutta la terra, i luminari del mondo incivilito: essi contano tante etadi quanto il vasto creato n’enumera, poiché essendo il prodotto dell’esperienza degli uomini pare che rimontino con evidenza più alti che non Mosè i cui sacri libri di salutari masime ribboccano, più alti che non Salomone, il quale volle fregiare col titolo Proverbii uno dei libri suoi, che scrittor proverbiante lo appalesano; più alti che non Licurgo non Solone non Giustiniano non Caronda (giurista siceliota IV sec. a.C.), i quali dettarono le leggi al popolo con uno stile sentenzioso pieno di argute sentenze e di succose proposizioni”.

Pure in Rapisarda, nella ricerca dei proverbi,  sembra  prevalere la documentazione dal vivo
nelle ore di ozio datemi a spigolar qua e là in bocca del volgo una larga messe de’ migliori tra questi (proverbi) …;
e il credere che proprio quelli inventati dal popolo siano: più curiosi e frizzanti

Il carattere universale dei proverbi viene messo in evidenza dal Rapisarda nella prefazione alla sua Raccolta:
Non vi ha nazione che non abbia i suoi proverbi, o sentenze popolari, come meglio appellar si vogliono“.
il Manzoni, a sua volta, “sono la sapienza del genere umano”.
 

Per delineare un quadro sintetico della Paremiologia italiana, bisogna tornare un attimo indietro e partire dal momento storico in cui fu registrato l’interesse più alto intorno ad essi, e particolarmente intorno al vasto settore che riguardava i tempi e i modi dell’agricoltura, momento storico che si colloca tra il Settecento e l’Ottocento e che sorge soprattutto in Toscana, anche a seguito dell’attuazione del vasto programma riformatore di Pietro Leopoldo di Lorena.
La crescente attenzione all’argomento determinò la messa a punto di alcune fondamentali raccolte che sottrassero il patrimonio proverbiale alla sterminata, e per questo più incerta, tutela della tradizione orale.
Le ricerche furono operate, in primo luogo dalla più prestigiosa istituzione di studio del tempo, l’Accademia della Crusca che compì sul tema alcuni studi.       Riferendosi in primo luogo all’aspetto linguistico e cercando di far chiarezza tra i  vari generi in cui la paremìa si esprimeva.
Proprio in questo contesto culturale si inseriscono gli studi e le pubblicazioni di alcune importanti raccolte di proverbi.

 Luigi Fiacchi, accademico della Crusca, nelle sue Lezioni aveva illustrato l’importanza dei proverbi come “elementi  linguistici”.
A parte le  «facete allusioni» ,  egli evidenziava i proverbi quali vere gemme  della poesia e dell’eloquenza !!!!!.
Particolare attenzione era poi rivolta a quei proverbi che senza avere nulla di metaforico,
« s’imprimono più facilmente nella memoria anche delle persone più grossolane per la loro brevità, e per l’aiuto che ne porge la rima»
e che perciò « possono recar un vantaggio singolarissimo alla buona condotta della vita nel basso popolo»
Queste raccolte erano, come ho già detto, la diretta testimonianza di quella civiltà contadina nella quale affondano le nostre più solide radici.

Accanto a questi approcci più propriamente Linguistici e Storico-Letterari, tra la fine del XVIII e i primi decenni del XIX secolo, ebbero una certa diffusione alcune raccolte di proverbi concernenti l’agricoltura e l’economia rurale, realizzate con l’intento di istruire i contadini alle pratiche agrarie e alle virtù morali.
Esplicitamente realizzato con questi scopi, il volume Proverbi pei contadini di Marco Lastri (1790), con aspetti: “meteorologici, tecnici, economici  e didascalici”che servivano di “Precetto per l’Agricoltura”, ed erano indirizzati ai “Proprietari delle Terre perché li  facessero circolare fra i loro villici, e questi ne traessero utili cognizioni in aumento delle annuali raccolte”.

Seguirono poi:

I Proverbi dei contadini, raccolti da Ignazio Malenotti nel suo “Il Padron contadino”, anche questi con capitoli relativi all’agricoltura,  all’economia rurale e alla meteorologia. Nelle sue raccolte spicca il raffronto fra la vita mezzadrile e le spinte della nuova agricoltura” “sostenuta dal progresso delle scienze agrarie”.

La Raccolta di Proverbi toscani di Giuseppe Giusti. Fu soprattutto attraverso la viva tradizione orale che il Giusti portò avanti il suo lavoro.

Il «Giornale agrario toscano» (1827-1865), il  periodico, stampato a cura del Vieusseux, tenne per molti anni (a cura di Pietro Cùppari) una specifica rubrica riservata ai proverbi, il cui semplice enunciato veniva approfondito  e commentato, allo scopo di ribadire le basilari nozioni in esso esposte, riviste però alla luce delle accresciute conoscenze agronomiche e delle nuove teorie economiche.
È interessante notare come il Cùppari avvertisse il valore comunicativo dei proverbi che in poche parole
«racchiudono, o dovrebbero racchiudere, i risultamenti di una esperienza ripetuta per tradizione, e tramandata di generazione in generazione. »

Una analoga iniziativa fu condotta dal medico e botanico Francesco Minà Palumbo (Castelbuono-Palermo), in “Raccolta di Proverbi agrari siciliani”.
Una tale raccolta di massime pratiche ha il vantaggio di offrire come in un quadro, lo stato attuale dell’arte e le conoscenze pratiche che i nostri coltivatori si tramandano”.

Questi autori quindi utilizzavano i proverbi, quale efficace sistema di memorizzazione dei precetti agricoli”, e i commenti relativi servivano per correggere o confermare usi e costumi dei contadini. Un’intersezione quindi del mondo agricolo nel mondo della cultura.                                  Queste raccolte costituivano Un’enciclopedia di saggezza popolare”, espressione della cultura e della tradizione di un popolo, che andava di pari passo con le fasi della campagna, col paesaggio e con l’evoluzione delle coltivazioni.

Con la riscoperta del folclore locale, nel Novecento ci fu il fiorire degli studi sull’argomento: tra questi si ricordano i contributi di Archer Taylor, padre della paremiologia moderna, cui seguirono in Italia quelli di Alberto Mario Cirese  e di Temistocle Franceschi, e in Europa quelli di Pierre Crépeau e Bruno Schulz.

Benedetto Croce, diceva,  i proverbi sono: “il documento parlato del buon senso

Venne così pian piano a formarsi una fitta rete di relazioni internazionali sfociate nel 1965 nella creazione della rivista «Proverbium».
L’assunzione del proverbio come “oggetto di studio scientifico” (la Paremiologia) deve molto ad alcune riviste specialistiche,  in particolare, «Proverbium: (Yearbook of International Proverb Scholarship», oggi edita a Burlington, nel Vermont, dove è diretta da Wolfgang Mieder fin dal 1984), e la spagnola «Paremìa», (fondata e diretta da Julia Sevilla Muñoz dal 1993).
 

Numerose sono state poi le pubblicazioni che hanno evidenziato ulteriori aspetti di questo ambito linguistico, sia dal punto di vista antropologico che da quello storico, fino ad arrivare ai nostri tempi quando, per iniziativa del glottologo Temistocle Franceschi, (fondatore della Geoparemiologia), è stato dato l’avvio all’ambizioso progetto della formazione dell’ Atlante paremiologico italiano.
L’ ambizioso programma, ormai da qualche decennio,
a) svolge un’inesauribile attività di confronto e di analisi dei proverbi nazionali,
b) esegue una pignola classificazione in base al loro significato, e all’area regionale di origine,
c) contribuisce in qualche maniera, a distanza di un paio di secoli, a soddisfare l’ auspicio, allora assai audace, del Tommaseo.

Si ha qui una nuova visione della Paremiologìa, (la scienza dei proverbi).
I proverbi sono quindi: Una «enciclopedia del sapere popolare».
Ora se con il termine proverbio si indica: un detto sedimentato nella tradizione popolare a perpetuare un insegnamento”,  questo insegnamento si prospetta in due tipi funzionalmente diversi se non contrapposti: dei due,

il primo, è un proverbio didattico (tautologico), propone la mera funzione informativa. Il suo insegnamento, non supera mai il valore letterale della frase.

Proverbi didattici:
a) per la Candelora – dell’inverno siamo fora,
b) santa Lucia – la notte più lunga che ci sia
e quindi appartiene alle discipline antropologiche, perché concerne:
a) le frasi di significato unico tramandate pro memoria,
b) le frasi di nozioni utili  (d’ambito precipuamente ergologico, meteorologico-calendariale);
Il loro insieme forma una vera: “Enciclopedia del sapere o Scienza popolare

Il secondo, invece, vale a comunicare
sinteticamente (brachilogico) e allusivamente (allologico)  qualcosa di diverso dalla sua lettura, qualcosa che va ricavato per via non logica ma intuitiva, e questo in analogia (analogico) alla figura proposta.
Il proverbio metaforico è:   Espressione della saggezza popolare”.

Proverbi metaforici
a) il diavolo fa le pentole /ma non i coperchi    
b) un bel tacer non fu mai scritto
c) la gatta frettolosa / fece i gattini ciechi
d) tutti i nodi vengono al pettine
e) far castelli in aria,
f) darsi la zappa sui piedi,
g) campa / cavallo mio / che l’erba cresce,

Il secondo, il metaforico  (apparentemente tautologico)  è inteso a comunicare altro da sé (allologico), perché  sotto l’apparenza di un’informazione specifica svolge la funzione -squisitamente linguistica- di comunicare succintamente e per via indiretta (analogica), “un’opinione sui più vari aspetti della vita umana e sociale.”
Il proverbio  metaforico si configura, quindi, come detto d’opinione, che si trasferisce dalla tradizione popolare a quella linguistica:
(Scienza del linguaggio).
Il primo segreto del successo del proverbio sta appunto nella sua proprietà di parlare alla mente mediante la fantasia, di fare intendere un ragionamento per via analogica in luogo di quella – tanto meno agevole, rapida e suasiva – della logica”. (T:Franceschi)

Per parlare di proverbi e soprattutto di proverbi agricoli, non si poteva di certo ignorare un’importante opera prodotta dall’Accademia dei Georgofili e presentata a Firenze presso la sede accademica. Si tratta dei “Proverbi agrari toscani” di Paolo Nanni e Piero Luigi Pisani.
Ben 463 proverbi che vogliono offrire ad un pubblico, non solo di addetti ai lavori,
un interessante confronto fra la tradizione contadina e l’evoluzione storica delle scienze agrarie, nonché una panoramica sulla letteratura «rusticale» tipica dell’epoca”.

Va sottolineato come questi fondamentali contributi non nascevano in un deserto, ma trovavano stimolazione e nutrimento in tutta una serie di pubblicazioni assai diffuse nel mondo dell’agricoltura, come i vari Almanacchi e Lunari che,  utilizzando un linguaggio assai vicino a quello parlato dagli operatori agricoli, si proponevamo come strumenti indispensabili di formazione, di diffusione di novità pratiche ma anche di precetti di valore etico.

Quindila stragrande maggioranza dei proverbi circolanti riguarda la vita contadina e la conduzione agraria,
a) attività che raccolgono nozioni stratificate nei secoli ed esperienze trasmesse da generazione a generazione, da padre in figlio,
b) attività condotte con poche varianti da un luogo all’ altro della penisola

I proverbi costituiscono, quindi il settore più cospicuo del folklore.
Ciò a causa della loro concisione e quindi della più semplice memorizzazione e trasmissione ad altri; in una cultura, quella della campagna, tutt’altro che ricca di modalità di espressione e trasmissione delle singole conoscenze.
Quindi i proverbi sanno concentrare il nucleo più essenziale del sapere popolare:
a) a partire dai fondamentali precetti morali alla cura  delle malattie,
b) dagli insegnamenti per le coltivazioni e  l’allevamento del bestiame, per  la  caccia e  per il  commercio dei prodotti,
c) per finire con il Clima e l’Astronomia.

Il Clima assume particolare  rilevanza per il suo ruolo decisivo nelle fortune di chi pratica attività agricole.
I due pleniluni, quello di maggio dal quale dipende il decorso della stagione estiva e  quello di settembre, il decorso della stagione invernale,  per secoli hanno governato il ciclo lavorativo delle campagne.

Ci sono i proverbi in cui viene espressa tutta l’apprensione per l’andamento della stagione o dell’annata da cui dipendevano le sorti di tutta la famiglia come:
a) Gennaio all’asciutto, grano dappertutto;
b) sott’acqua fame e sotto neve pan;
c) la neve di gennaio diventa sale (ghiaccio) e quella d’aprile farina (si scioglie/si sfarina);
d) le tre acque d’agosto con la buona stagione, valgon più che il tron di  Salomone;
e) l’estate di San Martino dura dalla sera al  mattino.
Una parte cospicua dei proverbi,
a) È dedicata al lavoro nei campi:
    beato quel campetto che ha siepe col fossetto
b) Non mancano detti sulle rotazioni delle coltivazioni
    come formento, fava e fieno non si volsero mai bene
c) Oppure sulla buona riuscita del vino
    se d’aprile a potar vai, contadino, molt’acqua beverai e poco vino.
 

Numerosi sono anche i proverbi riferiti
a) All’alimentazione contadina                                                          
 “di paglia o di fieno, il corpo ha da esser pieno”
b) Alla buona riuscita del raccolto dell’orto                               
l’orto è la seconda madia del contadino”
c) Molti anche i proverbi riguardanti ricorrenze
per S. Andrea piglia il porco per la séa (setola); se tu non lo  puoi  pigliare, fino a Natale lascialo andare”.
 

I proverbi rurali, attenendosi, come già  detto, alle fasi lunari, rammentavano ciò che era da fare o non fare, in campagna, in cantina, nella stalla, nel frutteto e nell’orto nelle varie stagioni: ad esempio ammonivano:
1)a non potare colla luna nuova perché le fascine andranno a male,
2)a non segare legnami da lavoro perché in breve saranno attaccati dal tarlo,
3)a non procedere  alla semina  del  granturco perché la  pannocchia rimarrà  di  piccola dimensione
4)e ancora non spargere letame, non  travasare il  vino,  non uccidere  il maiale… 

O ancoraproverbi che alludevano al plenilunio settembrino….. plenilunio che regolava il corso dell’inverno, che puntualizzava l’importanza  delle precipitazioni   nel momento topico delle semine e dello sviluppo delle piante.
a) “Se piove per la luna Settembrina, per sette lune l’acqua si  trascina…..”;
b) “Se piove per la Candelora, dell’inverno siamo fora”;
c) “Pioggia di febbraio, empie il granaio”;
d) “Aprile, ogni goccia un barile”;
e) “Se d’aprile a potar vai, contadino, molt’acqua beverai e poco vino”.

Ma ogni periodo dell’anno comportava  precise incombenze e presupponeva determinati obblighi:
a) “Chi zappa la vigna d’agosto, la cantina empie di mosto
b) “Agosto capo d’inverno”,
c) “L’acqua per San Giuan, porta via il vino  e non  dà pan

Un altro paio ben noti si riferiscono ai due solstizi,
a) “Santa Lucia, il giorno più corto che ci sia”.
b) “se piove per San Barnabà  l’uva bianca se ne va;
c) “se piove mattina e sera se ne va la bianca e la nera.”

così da collocare
il solstizio d’inverno al 13 dicembre, il giorno più corto;
e il solstizio d’estate all’11 giugno, il giorno più lungo.
Balza agli occhi come le date in questione siano  imprecise, in quanto si riferiscono al periodo anteriore alla riforma  gregoriana del calendario Giuliano (la Bolla di Gregorio XIII -marzo 1583) che ha cambiato… le date. 20/21 giugno e 21/22 dicembre.
Tuttora per i vecchi contadini San Barnabà è il giorno più lungo e Santa Lucia il giorno più corto

Tutto questo può farci agevolmente capire come la Sapienza dei proverbi, la Sapienza popolare  affondi nella notte dei tempi.
Una sapienza scolpita nella mente e nel corpo dei contadini, dalla sperimentazione continua di comportamenti ripetuti, a continuo e diretto contatto con la natura e pienamente immersi in essa nello svolgersi delle stagioni, degli anni e dei secoli.
I Saperi acquisiti e ritrasmessi, in un ambito quasi sempre angusto, con rare occasioni di distrazione e anche di confronto con pareri provenienti da esperienze non omologhe.
Tutto riporta al concetto stesso di Civiltà Contadina,
……..“ ci riporta a un mondo ricco di conoscenze e sfumature, dove l’educazione, per quanto spartana, avveniva con sistemi e contenuti dettati dalla tradizione, e formava in maniera conveniente intorno alle problematiche di quel mondo, la risposta alle quali avrebbe determinato spesso la stessa sopravvivenza di una famiglia o di una comunità fino, magari, a garantire a queste un relativo benessere”. (Mauro Civai, Direttore Museo Civico di Siena).
 

La scuola della natura è stata quindi, per tanti secoli, la fonte principale di apprendimento soprattutto per il popolo delle campagne, come ammonivano illustri esponenti della cultura ufficiale.
Erasmo da Rotterdam invitava “gli uomini attenti e docili,  ad ascoltare la natura perché  essa non muta, ma parla da tutti i lati ed offre numerosi insegnamenti a chi la contempla.”
Bernardo di Chiaravalle, fondatore dell’ordine cistercense,  suggeriva di non limitarsi alla lettura dei libri, che pure tanto amava, perché:  “ troverai molto più nelle foreste; i boschi e le pietre t’insegneranno molto di più di quanto possa insegnarti qualsiasi maestro.”

Ci rimane da scongiurare il rischio, che in omaggio ad una semplificazione tendente al profitto, questo inestimabile patrimonio, di cui i proverbi rappresentano una cospicua parte, possa andare dimenticato e quindi perduto, vengano meno le ragioni dell’applicazione dei precetti che la natura ha seguitato a impartire nei secoli.

Un timore già espresso dal  Pitrè,
Il tempo vola ed il progresso ogni dì incalzante spazza istituzioni e costumi. La scomparsa è fatalmente nel corso degli eventi onde urge che si fissi il ricordo di questa vita vissuta in migliaia di anni, da milioni e milioni di persone semplici, talvolta incoscienti.

Palermo 28 ottobre 2019                 Accademico Guido Falgares

 

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