Accademia dei Georgofili 14 dicembre 2018 Guido Falgares
Complesso Monumentale San Pietro Marsala
l’Agricoltura biologica “una scelta di vita”
L’Accademia dei Georgofili ha dato, di recente, una definizione sull’agricoltura: “Complesso di attività svolte per gestire e tutelare razionalmente le risorse produttive rinnovabili della biosfera”.
Il 9 febbraio 2018, presso l’Aula Magna del Dipartimento di Scienze Agrarie di Palermo, si è svolto un incontro dal titolo “la bellezza dell’agricoltura”. “Con l’agricoltura l’uomo mette a sintesi e fa interagire tra loro i tre fattori cardine da sempre alla base del risultato produttivo e cioè proprio l’ambiente, la tecnica e le risorse genetiche vegetali e animali e che proprio nella ricerca di tale rapporto armonico si può certamente individuare una delle fondamentali ragioni della bellezza dell’agricoltura”. (Prof. Ettore Barone, Ordinario di Arboricoltura Generale Unipa).
“Oggi l’agricoltura ha il gravoso compito di nutrire il pianeta, di erogare servizi ecosistemici ed essere nello stesso tempo economicamente, ambientalmente e socialmente sostenibile. Il ruolo del mondo della ricerca è di fornire il supporto scientifico a questo importante percorso, senza sposare acriticamente posizioni di parte”. (Claudia Sorlini, Professore ordinario di Microbiologia Agraria, Dipartimento di Scienze per gli alimenti, la nutrizione e l’ambiente – Università degli Studi di Milano).
A tre anni dalla condivisione della Carta del biologico in Expo Milano 2015 e in occasione del G7 Agricoltura di Bergamo 2017 si è tornato a parlare di agricoltura biologica, “come l’innovazione che più direttamente e attivamente può rispondere alle grandi sfide dell’agricoltura e prima tra tutte la fame nel mondo. Un fenomeno, quest’ultimo, che dopo un decennio di declino è ritornato a crescere”.
Il Rapporto Onu 2018, “torna la fame”,
“il numero delle persone che non hanno accesso a un nutrimento adeguato è aumentato: nel 2017 sono circa 821 milioni, cioè il 10,9 per cento della popolazione mondiale”
Fra i motivi:
• le guerre e lo sradicamento
• la povertà,
• la scarsità di investimenti in agricoltura:
• i cambiamenti ambientali. fattori climatici estremi,
• i mercati instabili
• lo spreco alimentare!!!!!!
Al BIOFACH di Norimberga (14-17 febbraio 2018) il rapporto sull’agricoltura biologica parla di
• oltre 80 miliardi di euro di fatturato complessivo,
• gli Stati Uniti sono il mercato leader,
• alla fine del 2016 la superficie coltivata organicamente è cresciuta di 7,5 milioni di ettari rispetto al 2015,
• in Italia, sessantamila aziende, con 5 miliardi di fatturato e quasi due milioni di ettari coltivati,
• l’Australia è il Paese con la più grande superficie agricola biologica,
• Asia, Africa e America Latina sono le aree che ospitano il maggior numero di produttori biologici di tutto il mondo”
Il rapporto Biofach dice ancora:
“L’agricoltura biologica gioca un ruolo fondamentale, nei Paesi in via di sviluppo, soprattutto in aree caratterizzate da maggiore scarsità di risorse e dove piccole unità familiari sono legate a una gestione più tradizionale della terra”.
In queste zone l’agricoltura biologica è più utile (efficace) per i costi più bassi determinati dal reimpiego delle sementi e dalla rinuncia a fertilizzanti chimici e pesticidi: la sostanza organica (SO) è la principale risorsa di nutrienti per lo sviluppo della pianta.
Il programma, tra l’altro, suggerisce l’incremento degli orti domestici.
L’a.b. non è poi così elitaria!
Il direttore generale della Fao, Jacques Diouf (dicembre 2017):
“Dobbiamo utilizzare l’agricoltura biologica ed incoraggiarla. Ma non è possibile dar da mangiare a sei miliardi di persone oggi e nove miliardi nel 2050 facendo a meno di un impiego prudente di input chimici. Si devono scegliere quelli appropriati e con le giuste quantità e si devono usare in modo corretto e al momento opportuno”.
Secondo la Fao fame e malnutrizione non dipendono affatto da una sottoproduzione di cibo. Se ne produce quanto ne basterebbe per sfamare dieci miliardi di umani. Se si continua a morire di fame è a causa della povertà e della cattiva distribuzione del cibo. Non perché manca il pane, ma perché non si hanno i soldi per comperarlo.
A settembre 2018, si è tenuto a Vienna il 12° Congresso del Biologico Europeo; il Comunicato stampa:
“Il denaro pubblico dovrebbe essere concesso agli agricoltori che consegnano beni pubblici”, che producono esternalità positive, che sviluppano meccanismi di multifunzionalità a beneficio dell’intera comunità”.
E allora che cos’è l’agricoltura biologica?
Da un punto di vista strettamente terminologico, tutta l’agricoltura è biologica, nel senso che è un’attività basata sulla trasformazione biologica, da parte delle piante verdi, dell’energia solare in prodotti utili all’uomo e segnatamente in quel bene fondamentale per la salute che è il cibo.
Meglio sarebbe parlare di: Coltivazione biologica!
Ciò premesso, il termine di a. b. va inteso in un’accezione diversa: quella di designare e distinguere un metodo di agricoltura, antitetico all’agricoltura convenzionale, un metodo che sia capace di soddisfare le esigenze di consumatori sensibilizzati ai problemi dell’ambiente e della salute e quindi molto recettivi “ai messaggi portatori di idee di naturalità e salubrità”.
In tema di messaggi sull’ambiente Pier Paolo Pasolini in un suo celebre articolo apparso sul Corriere della Sera il primo febbraio del 1975, dipinge, già sin d’allora, un affresco desolante dell’ambiente rurale.
“Nei primi anni Sessanta, a causa dell’inquinamento dell’aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante..…. dopo pochi anni le lucciole non c’erano più. Sono ora un ricordo, abbastanza straziante, del passato: e un uomo anziano che abbia un tale ricordo, non può riconoscere nei nuovi giovani se stesso giovane, e dunque non può più avere i bei rimpianti di una volta. Quel “qualcosa” che è accaduto una decina di anni fa lo chiamerò dunque
“scomparsa delle lucciole”.
L’articolo chiamato, inizialmente, il “vuoto del potere in Italia”, divenne poi famoso con il nome di “scomparsa delle lucciole”; una metafora per denunciare “un qualcosa, causato da gravissime trasformazioni sociali”. Tale “qualcosa” venne paragonato da Pasolini alla rapida scomparsa delle lucciole nelle campagne italiane.
Le lucciole non sono soltanto uno degli spettacoli più delicati e affascinanti della natura, ma costituiscono la cartina al tornasole della qualità dell’ambiente.
In tema di scomparse, Vi mostro la Conca d’Oro prima e dopo il 1954.
E ancora in un celebre film (La rabbia), Pasolini e Guareschi analizzano, in modo fortemente critico e polemico, i fenomeni e i conflitti sociali e politici dell’Italia contemporanea. Pasolini e Guareschi criticano lo svilimento dell’arte a fini commerciali, la cementificazione del paesaggio, dei corsi d’acqua, delle coste, delle campagne, e più in generale quella modernità senz’anima che elimina ogni prospettiva diversa dal materialismo e in ultima istanza porta alla sfiducia verso il futuro.
” Quando il mondo classico sarà esaurito, quando saranno morti tutti i contadini e tutti gli artigiani, quando l’industria avrà reso inarrestabile il ciclo della produzione, allora la nostra storia sarà finitaʺ.
Tornando indietro al Comunicato stampa del 12° Congresso sul biologico
Gli agricoltori possono diventare una sorta di “eco-imprenditori” se il 70% delle somme della PAC (Politica Agricola Comune) sarà utilizzato per la protezione del clima e dell’ambiente dalle fonti inquinanti.
Tra le fonti inquinanti troviamo, non solo le industrie e gli scarichi civili, ma anche le attività agricole che, impiegando insetticidi, pesticidi e diserbanti, alterano profondamente i suoli, interferiscono con il naturale funzionamento degli ecosistemi disturbandone e alterandone i cicli biogeochimici, causano quindi direttamente o indirettamente perdita di diversità vegetale e animale.
Voglio raccontarvi, attraverso la storia di un atomo di carbonio, quanto la bellezza di un ciclo biogeochimico abbia affascinato un grande scrittore.
“Al carbonio, elemento della vita, era rivolto il mio primo sogno letterario, insistentemente sognato in un’ora e in un luogo nel quale la mia vita non valeva molto”. In un giorno imprecisato un anonimo atomo di carbonio, figlio di una lunghissima storia cosmica, “ebbe la fortuna di rasentare una foglia, di penetrarvi, e di esservi inchiodato da un raggio di luce”. Così si rinnova il prodigio biochimico della fotosintesi, “fulmineo lavoro a tre, dell’anidride carbonica, della luce e del verde vegetale”, la stretta porta che, mediamente ogni duecento anni, fa entrare e rientrare ogni atomo di carbonio presente in atmosfera nel grande ciclo della vita. L’immortale atomo di carbonio divenne allora parte di una molecola di glucosio: “viaggiò dunque, col lento passo dei succhi vegetali, dalla foglia per il picciolo e per il tralcio fino al tronco, e di qui discese fino a un grappolo quasi maturo. Quello che seguì è di pertinenza dei vinai”. Fu infatti “ingollato” da un bevitore umano, parcheggiato qualche giorno nel fegato, ritrasformato in glucosio e trasportato verso un muscolo, quindi incluso in una molecola di acido lattico e poi espulso di nuovo in atmosfera sotto forma di anidride carbonica. Lo ritroveremo molti anni dopo, in Libano, imprigionato dentro il tronco di un cedro. Dopo qualche tempo se ne occupa un tarlo…….il tarlo scava una galleria e ingoia il soggetto di questa storia. “l’insetto viene fecondato, depone le uova e muore: il piccolo cadavere giace nel sottobosco ed ecco al lavoro gli onnipresenti, gli instancabili e invisibili becchini del sottobosco, i microrganismi dell’humus:l’ex bevitore, l’ex cedro, l’ex tarlo, ha nuovamente preso il volo.………..ed è di nuovo tra noi in un bicchiere di latte, è inserito in una lunga catena, la catena viene frantumata……… dei frantumi …..uno, quello che ci sta a cuore, varca la soglia intestinale ed entra nel torrente sanguigno: migra, bussa alla porta di una cellula nervosa; “questa cellula appartiene a un cervello, e questo è il mio cervello, di me che scrivo, e la cellula in questione, ed in essa l’atomo in questione, è addetta al mio scrivere.”
Questo viaggio per nulla immaginario è raccontato dal chimico Primo Levi in “Carbonio”, l’ultimo celebre capitolo de “Il sistema periodico” (1975), che ho letto con particolare attenzione, ed ha costituito un buon viatico per intraprendere lo studio delle interazioni fra le piante e l’ambiente.
Relazioni di ogni tipo, collaborative, competitive, mutualistiche, simbiotiche, di parassitismo, di commensalismo, al cui centro stanno sempre le piante. Relazioni tra piante e cambiamenti ambientali, tra piante e microrganismi e naturalmente anche tra piante e umani.
Noi sedicenti sapiens abbiamo addomesticato alcune piante per i nostri fini una dozzina di millenni fa; anche se già i Neandertal avevano imparato a selezionarle non solo per fini alimentari ma anche di auto-medicazione. Ci siamo così convinti di dominarle per mezzo di incroci mirati e selezione artificiale.
In realtà le piante, evolutivamente parlando, sono loro ad avere addomesticato noi usandoci come impareggiabile veicolo di diffusione e impregnando ogni aspetto delle nostre nicchie eco-culturali, dato che:con le piante mangiamo, scriviamo, ci vestiamo, costruiamo abitazioni e mezzi di trasporto, ci abbelliamo, ci coloriamo, ci droghiamo, ci avveleniamo e ci curiamo.
Ciò nonostante, le piante hanno e avranno di che temerci in futuro:
• i cambiamenti climatici,
• la frammentazione degli habitat causata dalla deforestazione, dagli incendi boschivi,
• la diffusione di specie invasive,
• il sovrappopolamento urbano,
• la cementificazione dei suoli, dei corsi d’acqua,
• il sovrasfuttamento e l’uso non sostenibile delle risorse naturali
• l’inquinamento agricolo e industriale.
Considerate che soltanto in Italia abbiamo 12.500 siti inquinanti e da anni inefficienza e burocrazia rallentano i lavori di bonifica, nonostante la disponibilità dei fondi dello stato.
Tutto questo sta generando un’estinzione di massa della biodiversità (anche vegetale) che ha come precedenti soltanto le cinque maggiori catastrofi degli ultimi cinquecento milioni di anni.
Ora alla miscela poco sopra descritta si aggiunge, il riscaldamento climatico. Vi è un che di ironico nel fatto che il riscaldamento climatico dipenda dal riportare in superficie e dal bruciare quei giacimenti di carbon fossile e di petrolio che sono eredità geologica dell’attività fotosintetica.
Ed è altrettanto ironico che le fonti non rinnovabili ancora utilizzate in modo massiccio, sono destinate ad esaurirsi e questo è un vero problema perché ad oggi sarebbe impossibile sostituirle tutte con risorse alternative a basso impatto economico.
Alcuni scienziati (il Nobel per la chimica atmosferica Paul Crutzen), hanno proposto il modello della “tempesta perfetta”: “l’Antropocene“.
La tempesta perfetta, l’ Antropocene, sempre più governato dal cambiamento climatico e dalla contaminazione ambientale, rischia di passare alla storia come il più grande stravolgimento ecologico degli ultimi 65 milioni di anni, e una parte consistente del nostro destino dipenderà dalle capacità delle piante di percepire queste alterazioni e “comportarsi” di conseguenza con idonee strategie di difesa e adattamento; si spera in loro per un futuro migliore al nostro pianeta.
Comunque sempre alle piante si ritorna,se non altro perché da loro e dai cianobatteri dipende, grazie alla fotosintesi ossigenica, la composizione dell’atmosfera che ha reso abitabile per noi il pianeta.
Oltre che base delle nostre economie, le piante e i batteri sono gli agenti geochimici globali che hanno dettato i cambiamenti dei parametri fondamentali per la vita animale. Infatti La diffusione delle piante terrestri ha infatti creato nuovi habitat e promosso ulteriori radiazioni adattative.
Dobbiamo dunque a loro la nostra esistenza e sono tante: da 475 milioni di anni colonizzano le terre emerse, e sono più di 400mila le specie note.
Sicuramente lo stile di vita delle piante, richiede una loro particolare raffinatissima sensibilità chimica.
Devono percepire prontamente e gestire con criterio tutti gli stimoli provenienti dall’ambiente circostante, dovendo esse discernere con chiarezza, e spesso in fretta, tra stimoli positivi (in certi casi addirittura indispensabili alla loro sopravvivenza) e stimoli negativi, perlopiù causati da stress biotici (per esempio l’attacco da parte di erbivori o organismi patogeni) e abiotici ( per esempio l’esposizione a temperature estreme, carenza di acqua, luce eccessiva, ultravioletto, ecc.). La miriade di segnali provenienti dall’esterno deve essere anche rapidamente integrata per generare un pool di risposte, spesso assai articolato, (molecolari, (epi)genetiche, exattive, biochimiche, funzionali, ecologiche, ecc.).
Di qui l’eccezionale attitudine biosintetica delle piante, in grado di imparare a produrre “un armamentario biochimico” una pletora di metaboliti secondari, alcaloidi, isoprenoidi, fenoli) che governano le loro interazioni con l’ambiente, molti di questi metaboliti, noi umani impieghiamo opportunisticamente come farmaci, coloranti, nutraceutici, ecc.
Di qui la straordinaria plasticità, le disparate strategie adattative, il loro grande successo evolutivo, e tutto questo
• grazie alla capacità di cooptazione funzionale ribattezzata exaptation.
• grazie alla capacità di memoria epigenetica che permette di ricordare gli eventi salienti della loro esistenza.
• grazie alla capacità di autosufficienza e di autoregolazione.
“Cooptazione”
Darwin “On tne Genesis of Species” introdusse la possibilità che in natura il rapporto tra organi e funzioni fosse “potenzialmente ridondante”, in modo da permettere che un tratto sviluppatosi per una certa ragione adattativa potesse essere “cooptato” o convertito per una funzione anche del tutto indipendente alla precedente.
“In tutta la natura quasi ogni parte di ciascun essere vivente è probabilmente servita, con poche modifiche, ad altri scopi e ha funzionato come parte della macchina vivente di molte e diverse forme antiche”.
Un’idea questa della “cooptazione funzionale” ribattezzata, da Stephen Gould e da Elisabetta S. Vrba, “exaptation” per indicare come gli organismi spesso riadattino in modo opportunista strutture già a disposizione per funzioni diverse.
Al di là della terminologia, a Gould e Vrba si deve il grande merito di aver posto l’accento sul fatto che l ‘evoluzione procede non solo attraverso il progressivo perfezionamento di caratteri adattativi (adaptation) o la creazione di caratteri del tutto nuovi, ma anche mediante il rimaneggiamento (exaptation) di funzioni preesistenti o di caratteri comparsi senza una funzione precisa.
Le piante devono il loro grande successo evolutivo soprattutto alla capacità di modificare radicalmente (potremmo dire “exattare”) strutture e funzioni preesistenti, in risposta alle pressioni ambientali.
Un esempio: il sistema di difesa dagli insetti potenzialmente pericolosi originariamente messo in atto dai fiori di certe angiosperme, basato sulla produzione di resine triterpeniche. Tali resine avevano infatti la funzione di intrappolare questi insetti nocivi e di impedire che essi potessero danneggiare il fiore, e in particolare gli stami, “contenitori” e “liberatori” di polline. Successivamente, il medesimo sistema è stato “cooptato” per una funzione in un certo qual modo contraria, finalizzata invece alla produzione di resine – di composizione chimica pressoché identica alle originarie – capaci tuttavia di “premiare” gli insetti pronubi e favorire quindi l’impollinazione entomofila.
Un altro esempio è l’attuale “funzione vessillare” di larga parte dei flavonoidi,che all’inizio avevano invece esclusive funzioni protettive nei confronti della luce UV (e quindi furono essenziali per garantire la colonizzazione delle terre emerse da parte delle prime streptofite).
“Memoria epigenetica”
Il termine “epigenetica” è stato introdotto nel 1942 dal biologo Conrad Waddington per descrivere l’eredità di una caratteristica acquisita in una popolazione in risposta a uno stimolo ambientale.
Oggi l’epigenetica, nel suo uso corrente, è lo studio dei cambiamenti nell’espressione genica, che non comporta modifiche alla sequenza di DNA. Le modifiche epigenetiche possono essere ereditabili, ma l’aspetto più rilevante è che sono dinamiche e cambiano velocemente in risposta agli stimoli ambientali. Normalmente, le variazioni dello stato epigenetico di una cellula ci permettono di adattarci ai cambiamenti del mondo intorno a noi e di imparare dalle nostre esperienze.
Anche le piante formano dei “ricordi“, ossia tengono traccia delle loro precedenti esposizioni a siccità, calore, freddo prolungato, agenti patogeni, oltre che della lunghezza del giorno. Gli studi riguardanti i meccanismi di interazione pianta-ambiente hanno evidenziato che le condizioni ambientali, soprattutto se stressanti, possono indurre cambiamenti epigenetici e alterare di conseguenza l’espressione genica consentendo di memorizzare lo stress e rispondere rapidamente ogni qualvolta esso si ripresenta. La memoria di questi eventi permette alla pianta di distinguere, per esempio,
l’improvviso crollo della temperatura di una sola nottata dalla prolungata esposizione al freddo invernale che, grazie alla stabilità di questa memoria, promuove la fioritura in primavera. Ma non solo: se esposto al freddo un callo vegetale la nuova pianta che si sviluppa si comporta come se avesse passato un inverno rigido anche se non ha mai sperimentato il freddo.
“Exaptation e memoria epigenetica, sia che l’ambiente induca risposte di tipo exattivo, sia che generi cambiamenti epigenetici, sono i veri e propri serbatoi di variabilità nelle piante, sono veri e propri motori dell’evoluzione biologica” (Luigi Sanità di Toppi, Ordinario di Botanica Generale, Dipartimento di Biologia Università di Pisa)
“L’autosufficienza”,
si basa sull’equilibrio fra i guadagni dovuti alla fotosintesi, all’azotofissazione, alla sintesi di humus e le perdite che sono la degradazione della sostanza organica (mineralizzazione) e l’allontanamento fisico di ioni come ad esempio quello nitrico, nelle falde acquifere.
“L’autoregolazione”,
permette di tendere al mantenimento di quella stabilità ecologica, che è il fine di tutti i sistemi viventi. Che è il fine di quel rapporto armonico che è alla base del risultato produttivo, che è alla base della bellezza.
L’uomo ha sempre attentato l’omeostasi del suolo, sia alterandolo nella componente biotica con erbicidi, anticrittogrammici di sintesi e altri xenobiotici tossici, sia diminuendo la biodiversità della rizosfera con le colture intensive monovarietali. (Prof. Giancarlo Moschetti, Ordinario di Microbiologia Agraria Unipa).
L’impoverimento dei suoli dovuto alle monoculture è conclamato, e la perdita di biodiversità irrimediabile: se per migliaia di ettari hai solo soia, magari per produrre biocarburanti, quella fetta di terra è morta a ogni altra specie.
Insomma, le piante sono organismi straordinari che, continuamente e nascostamente rispetto alle nostre abilità percettive, instaurano importanti relazioni con il mondo che le circonda e con gli organismi che vivono nel loro intorno: si pensi in proposito ai funghi micorrizici, ai batteri azotofissatori, agli insetti prònubi e a tanti altri organismi.
Mediante la fotosintesi le piante trasformano l’energia solare nell’energia chimica che sostiene tutti i viventi, assumendo quindi un ruolo centrale in un’ampia e molto complessa rete alimentare.
Si calcola che tra il 5 e il 20% dei prodotti della fotosintesi sia rilasciato dai sistemi radicali nella rizosfera, diventando così una fonte di carbonio per i microrganismi che la colonizzano.
Una parte cospicua dell’azoto delle piante (tra il 10 e il 16%) è liberato nel suolo. Diventando così fonte di azoto per gli stessi microrganismi.
L’effetto della pianta è mediato dal rilascio di essudati radicali. Alcuni dei quali svolgono un ruolo fondamentale nella segnalazione chimica tra piante e microrganismi.
Il riconoscimento tra le radici e i microrganismi instauranti simbiosi mutualistiche si avvia su base chimica ed è mediato da molecole rilasciate da entrambi i partner.
I microrganismi, poi, sono essenziali per il funzionamento degli ecosistemi e per il mantenimento di macroequilibri che garantiscono la vita sulla Terra.
I microbi sono infatti i principali responsabili della degradazione e del recupero della materia organica morta, giocando quindi un ruolo centrale nei cicli biogeo-chimici.
Svolgono poi un’azione fondamentale nella nutrizione, assistendo le piante e gli animali nell’assimilazione dei nutrienti.
“Il riconoscimento chimico”,
la leguminosa, a contatto con un batterio simbionte (rizobio), gli dice: «Io ho paura che tu sia un organismo nocivo, un mio nemico, non ti voglio ed emette flavonoidi». Il batterio utilizza questi flavonoidi come segnali di attivazione dei propri geni che producono proteine enzimatiche capaci di innescare una nuova reazione nella pianta, la quale ora riconosce il “segnale amico e decide di fare entrare il microrganismo”. La pianta, dopo questo fittissimo scambio di segnali molecolari, capisce che quel microrganismo le è veramente utile, perché la può rendere indipendente dall’azoto.
Un mondo affascinante!
I microrganismi si parlano tra loro (il fenomeno del quorum sensing): la sensazione del quorum, ossia la sensazione del numero e della densità di una popolazione microbica. Oltre un certo livello di densità le colonie microbiche emettono sostanze che avvertono i nuovi arrivati che la popolazione esistente è già molto densa, segnali di attenzione che avvisano che le nicchie trofiche sono già occupate. Gli altri rispondono con segnali di consenting.
Gli Azospirillum (PGPB: Pant Growt-Promoting Rhizobacteria) e gli Herbaspirillum, da milioni di anni fanno una cosa molto semplice: producono acido indolacetico e altre sostanze fìtostimolatrici a beneficio delle radici delle graminacee; sostanze che aiutano la pianta a emettere più radici secondarie, a esplorare meglio il terreno, ad assimilare meglio i nutrienti. Le leguminose ricevono il 70/80% dell’azoto di cui necessitano mediante la simbiosi.
Questo “riconoscimento” (meccanismo biochimico) fu portato alla luce negli anni settanta da Johanna Dòbereiner e ” insieme decidemmo di chiamarlo “biocenosi diazotrofica” (Marco Paolo Nuti, professore ordinario di Microbiologia Agraria, Pisa)
“In un mondo che sta affrontando gravi problemi ambientali (eventi meteorologici estremi ed improvvisi, inquinamento di tutti i comparti, riduzione delle risorse, aumentate richieste alimentari per fronteggiare l’incremento demografico ecc.), si comprende quanto le interazioni biotiche delle piante siano importanti per gli ecosistemi naturali, per gli agroecosistemi, per l’economia e la società”. (Telmo Pievani, Ordinario di Logica e Filosofia della Scienza Dipartimento di Biologia Università di Padova).
Dalle interazioni tra le piante e l’ambiente un mammifero sapiens dovrebbe dunque trarre preziose lezioni.
Le piante sono:
a) bio-sintetizzatori di cocktail di metaboliti secondari che, ancorché originatisi per tutt’altre funzioni nel mondo vegetale, diventano incidentalmente farmaci per gli umani e magazzino di sostanze dalle infinite applicazioni (eccitanti, calmanti, coloranti, profumi, cosmetici, insetticidi, ecc.)
b) bioindicatori e sentinelle dei guasti umani,
c) nonché bio-accumulatori che ci liberano da inquinanti per noi mortali.
“ll tutto grazie alle sorelle silenziose” (scriveva Primo Levi, con una citazione dal racconto, Il fabbro di se stesso):
“Sembrano stupide, eppure rubano l’energia al sole, il carbonio all’aria, i sali alla terra, e crescono per mille anni senza filare né tessere né scannarsi a vicenda come noi”.
Da quanto detto si evince che c’è bisogno di porre un freno al degrado ambientale mediato dall’agricoltura intensiva, bisogna tornare a pratiche agricole che consentano dapprima di nutrire gli organismi del suolo con SO, e quindi indirettamente la pianta attraverso la mineralizzazione dei nutrienti operata dai microrganismi del suolo.
Purtroppo, nell’agricoltura convenzionale la maggior parte dei nutrienti è immessa nell’ agrosistema sotto forma di fertilizzanti chimici. In questo modo si aumenta enormemente la resa agricola, ma ci sono enormi perdite di nutrienti nell’ambiente. (Prof. Giancarlo Moschetti).
In ambito accademico c’è spazio per opinioni molto diverse.
C’è chi sostiene che senza fitofarmaci di natura chimica non si possa produrre cibo in quantità sufficiente.
C’è chi come me, proprio per l’armonia di quel “rapporto” e per la bellezza dell’agricoltura è convinto che la strada per un’agricoltura sostenibile debba passare necessariamente per il biologico; sia pure nell’immediato con un impiego prudente di input chimici
Allo stato attuale l’agricoltura biologica dovrebbe concentrarsi soprattutto sull’allevamento e sulla coltivazione di generi di primissima necessità; quindi è naturale che ci si debba preoccupare in modo prioritario della qualità del latte o del grano per fare il pane, per fare alcuni esempi.
Certo è che il passaggio dal chimico al biologico non si può improvvisare; richiede un grande sforzo e una solidissima preparazione tecnica. Gli agricoltori biologici devono cercare di capire come l’estrazione di cibo dalla terra possa lasciarla indenne e ancora fertile. Devono cercare innovazione, e hanno fortissima necessità di tecnologia e di scienza.
Naturalmente la qualità dei tecnici è una condizione necessaria ma non sufficiente.
L’agricoltore che si batte per un sistema di produzione compatibile con l’ambiente è antitetico con gli interessi dell’industria che spinge per il sistema intensivo.
Si parla di sviluppo sostenibile per intendere uno sviluppo economico e sociale compatibile con l’equità sociale, la tutela ambientale e i diritti delle future generazioni.
“Sostenibilità” vuol dire fare agricoltura in modo da lasciare aperta la prospettiva di continuare a produrre anche dopo e non rapinare il terreno, portando via tutto quello che c’è e lasciando alle proprie spalle il deserto”. (Marco Paolo Nuti).
I successi tecnologici ed economici a breve termine (quantità di raccolto e di profitto) possono mutare verso se li si analizza a medio e lungo termine: spremere un campo oggi per avere niente domani non è produttivo, è predatorio e imprevidente. I concetti di utilità e di produttività non sono così “oggettivi”, o meglio lo sono a seconda dello sguardo politico e soprattutto della loro proiezione nel tempo.
Ne sappiamo abbastanza?
Per la Cina di Xi Jinping, tutto inizia nel 2015, alla Conferenza di Johannesburg del FOCAC, (Forum on China – Africa Cooperation), dove 35 nazioni africane e Pechino si accordano per una serie di investimenti mirati in alcuni settori specifici dell’economia africana. E sarà tra pochi anni che “l‘Africa nutrirà la Cina“; che “una nuova gerarchia sociale“, l’Agroindustria, “sradicherà l’agricoltura di auto-sostentamento” –“ l’orto domestico”.
«L’umanità sta giocano a dadi con l’ambiente naturale mediante una moltitudine di interventi: iniettando nell’atmosfera gas come quelli serra o prodotti chimici che attaccano l’ozono, causando cambiamenti a grande scala dell’uso del terreno con deforestazioni, eliminando l’habitat naturale di svariate specie e allo stesso tempo creandone di transgeniche in laboratorio, accumulando armi nucleari sufficienti per distruggere la civiltà umana». (W. Nordhaus, premio Nobel per l’economia, 2018)
Tuttavia, conclude Guareschi, (dal film “La rabbia”),
” È su questo pianeta che il Figlio di Dio ha voluto nascere, soffrire e morire come uomoʺ. Per questo ʺbisogna cercare qui, e non sulla Luna, la soluzione ai nostri problemi. Perché nonostante Mao, Chruščëv (Putin, Trump e Xi Jinping) e gli altri guai (di casa nostra) vale ancora la pena di vivere su questo pianeta […] e in noi è più forte la speranza che la pauraʺ.
Per cui io vi auguro:
“che la prossima estate riusciate a vedere le lucciole e oltre a godere di uno spettacolo magnifico, potrete essere sicuri che l’ambiente è sano, senza veleni e pesticidi, i loro nemici naturali”
14 Dicembre 2018 Guido Falgares