Il Bere giusto 6 giugno 2018
Quando Luigi Veronelli alla fine degli anni sessanta scrisse
“Il Bere Giusto”, primo manuale sull’abbinamento cibo vino, ebbe l’intuizione di impostare il confronto sul contrasto di sapori.
La teoria è semplice: quando la bocca sta per ricevere per la prima volta cibo e vino è in una condizione perfetta e favorevole; l’imperativo è permettere che questa situazione si ripeta così da mantenere vivo il desiderio dei due protagonisti. Le componenti dure del vino (acidità, tannino, anidride carbonica…) contrasteranno i grassi e l’unto del piatto; quelle morbide (alcol, estratti, zuccheri, glicerina…) tamponeranno il piccante, il salato e altre sensazioni caustiche. Molte ricette hanno a disposizione un’elaborata combinazione di sensazioni, per cui i vini ben dotati di tutti i caratteri, armonici e complessi, sono l’ideale. Vi sono invece casi in cui la vocazione espressiva del vino, ad esempio il tannino del Brunello o l’alcolicità dell’Amarone, prevale senza esitazioni.
In questo caso sceglieremo un piatto che sappia far tesoro di tali sensazioni.
L’abbinamento prende forma a patto che il momento del cibo non si sovrapponga a quello del vino; in bocca devono entrare in momenti separati: prima il boccone e poi il liquido. Quando iniziamo a masticare si forma il bolo alimentare che è avido di umidità, se inseriamo il vino in quel momento, questo viene assorbito e diventa parte della ricetta; tanto valeva allora versarlo sopra direttamente. Arrivando dopo la deglutizione è invece attore di una prova autonoma e può esprimere tutta la sua efficacia, riassumendo il gusto del cibo e dando alla bocca il respiro che permette il successivo assaggio. Questo è il piacere del frammento: il vino raccoglie ogni residuo dando una nuova forma al suo rapporto col cibo, le componenti si incontrano, sembrano annullarsi per un attimo e riappaiono diverse ed esaltate.
Naturalmente non basta opporre i sapori fondamentali per riuscire nell’intento, bisogna considerare altri tre elementi determinanti. Il cibo e il vino devono avere un’equivalente struttura per evitare che uno dei due prevarichi l’altro coprendolo. E’ bene che anche la persistenza aromatica e la continuità gustativa siano alla pari.
Infatti, il tempo in cui il cibo e il vino incrociano le loro sensazioni è molto breve, per giudicare l’abbinamento conta ciò che lasciano in eredità. Come si fa a mettere insieme un piatto ricco con un vino importante evitando che l’insieme diventi stucchevole? Dato per scontato che in cucina vi sia equilibrio nell’uso degli ingredienti, dobbiamo convincerci che un vino per essere grande non può non avere una sua bevibilità, che non è quella del novello ben inteso, parliamo piuttosto di fluidità: alla sensazione densa del corpo deve corrispondere la tensione dell’acidità e dei tannini, altrimenti il vino diventa una bistecca da aggiungere al piatto che stiamo mangiando. Esistono dei vini, considerati grandi, che bastano a sé stessi, degustandoli ci chiediamo se abbiamo voglia di mangiare, questi non sono adatti ad abbinare i cibi, si fanno apprezzare quasi come bevande da meditazione. Tuttavia se i vini-bistecca diventano un modello qualitativo di pienezza e personalità, cosa beviamo con piatti importanti? Alcuni sostengono che un vino è perfetto quando non ha bisogno di cibo per essere gustato. Si tratta di una deviazione pericolosa che toglie al rapporto tra vino e cibo la godibilità e la sensazione appagante. Nessuno vuole privare chi ama bere il vino da solo del piacere di farlo, anche se alla lunga la cosa assume la stanchezza di un’attività onanistica. Nel degustare i vini non facciamoci influenzare dalle loro dimensioni, evitiamo di considerare la struttura come l’unito parametro qualitativo, cerchiamo di scoprire come servircene, valutiamone la disponibilità ad aiutarci con il cibo, non pensiamoli come elisir. E’ facile farsi trascinare da tale percezione quando si leggono le valutazioni a punti, affidate sovente a parametri specifici quali, ad esempio, la corposità o il frutto: di questo passo si assiste a un appiattimento della personalità dei vini. Ha ragione chi pensa che numerosi produttori concepiscano vini che facciano bella figura nelle degustazioni comparative; la difficoltà è consumare quelle bottiglie in un pasto di rilievo oppure abbinarle a un piatto importante.
Tuttavia è un appassionante esercizio ideare una ricetta che venga servita da un vino celebre, amato profondamente e che corrisponde a un livello di eccezionalità taie da non immaginarvi alcun cibo.
L’obiettivo sarà sposare due vibranti armonie.