Il Castelmagno Dop

4 Agosto 2016 by

Il turista che arriva in Valle Grana e che vuole raggiungere il piccolo comune di Castelmagno per assaggiare il suo inimitabile formaggio, ha appena attraversato il lembo più occidentale della Pianura Padana e durante il viaggio, in una giornata primaverile o estiva tersa, ha osservato l’imponente catena delle Alpi Marittime che domina il Cuneese.

Da Caraglio in poi la strada si inerpica leggermente attraverso graziosi frutteti e fitti boschi di castagno. Dopo Monterosso Grana e Pradleves, che sono i primi due comuni di produzione del Castelmagno DOP, l’impressione che il turista può avere è quella di entrare in un canyon lungo, tortuoso e profondo dove esistono soltanto la strada ed il torrente Grana. La domanda sorge quindi spontanea: “ma sono proprio arrivato nella zona di produzione di un formaggio DOP?”.

Mai perdersi di coraggio ed avere pazienza, come indicano anche alcuni cartelli sulla provinciale che ricordano di essere nella zona di produzione del Castelmagno. La larga strada termina a Campomolino, una piccola frazione che rappresenta il centro pulsante del comune di Castelmagno, dove si trova anche il municipio. Sulla destra un cartello indica la salita al Santuario di San Magno ed ovviamente verso il colle Fauniera, uno dei preferiti dal grande scalatore Marco Pantani.

In pochi chilometri la strada si inerpica sulla parete del canyon. Verso la cappellina di San Bernardo da Mentone una indicazione fa sapere ai ciclisti che la pendenza è superiore al 15%. Si superano le frazioni di Chiappi e Chiotti e finalmente si apre un anfiteatro montano con pochi eguali nel panorama alpino: “la culla del Castelmagno”. Al centro il Santuario di San Magno dai muri bianchi e dal tetto in pietra sembra attirare tutta l’attenzione ma poi ci si guarda attorno e non si può non ammirare il contorno smeraldo e grigio di montagne e pascoli che contrastano con l’azzurro del cielo che, a 1.750 metri di altezza, sembra quasi di poter toccare con un dito.

Ebbene sì, adesso la domanda del turista trova la sua corretta risposta: il Castelmagno prende origine da questo ambiente incontaminato. Nei mesi estivi non è difficile osservare le varie mandrie al pascolo sugli alpeggi e vedere come gli animali siano a loro agio in questo contesto alpino.

Un po’ di storia ci chiarisce anche perché il formaggio in questo lembo di Alpi è importante: le prime segnalazioni di questo formaggio, al centro di una contestazione per l’usufrutto di alcuni pascoli tra i comuni di Castelmagno e Celle Macra, risalgono al 1277 ed i documenti sono tuttora presente nell’archivio del comune di Castelmagno. La sentenza arbitrale fissò un canone annuo da pagarsi al Marchese di Saluzzo in forme di “formaggio di Castelmagno”. Successivamente anche un decreto di re Vittorio Amedeo II di Savoia ordinava, nel 1722, la fornitura di forme di Castelmagno al feudatario locale. Qualcuno racconta anche che il formaggio di questa zona fosse spesso presente addirittura sulla tavola di Carlo Magno e dei Papi di Avignone; infatti è ritenuto che la produzione di formaggio in questa valle sia iniziata intorno all’anno mille.

Ma perché il Castelmagno è così particolare?

La particolare conformazione del territorio comunale forse ce lo può spiegare: anticamente Castelmagno era composta da più di 10 borgate, ciascuna molto distante dall’altra. I montanari erano poveri e non possedevano che una o due vacche. Da qui la disponibilità di quantità di latte molto basse e non sufficienti per produrre cagliata e fare un formaggio abbastanza grande da poter stagionare per lunghi mesi.

I pastori escogitarono quindi una tecnica che consisteva nell’accumulare cagliata per alcuni giorni, raccogliendo le lavorazioni giornaliere in un fagotto e lasciandole appese nell’ambiente caldo ed umido della casa o addirittura della stalla. Quando il quantitativo di cagliata era sufficiente per produrre una forma del peso di 5-7 kg, si prendeva il contenuto di questi fagotti, lo si sbriciolava, lo si salava abbondantemente con sale grosso in mezzo alla pasta. Questa massa informe si assemblava infine in una forma che veniva messa in pressatura per alcuni giorni.

La forma obbligatoriamente rimaneva con uno scalzo più alto rispetto al diametro, da qui la spiegazione del fatto che le forme di Castelmagno tendono ad essere alte. Un passaggio delle forme così ottenute nel sale fino, completava l’opera con la formazione di una crosta rossiccia ed umida.

Inoltre l’alternanza di cagliate più o meno umide, più o meno acide, più o meno calde, più o meno esposte all’ambiente facevano sì che nella fase di assemblaggio si creassero delle condizioni idonee per lo sviluppo del Penicillium che avrebbe favorito l’erborinatura all’interno delle forme.

Il Castelmagno è quindi a tutti gli effetti un formaggio erborinato e le venature blu al suo interno rappresentano una fonte di grandissimo pregio, che purtroppo oggi non si ricorda quasi più.

A maggior tutela delle lavorazioni ancora classiche. la modifica al disciplinare del 2010 prevede l’introduzione del Castelmagno DOP avente la menzione aggiuntiva “di Alpeggio”, riservata alle forme prodotte tra il mese di maggio e di ottobre, esclusivamente in alpeggio al di sopra del 1000 m s.l.m., ottenute da latte prodotto da animali che abbiano mangiato almeno il 90 % di foraggio locale.

Anche se la tecnica di produzione odierna ovviamente non ricalca quella sopra descritta ma è condotta in ottemperanza alla normativa vigente, la grande richiesta del prodotto ha fatto sì che non si stagioni più il formaggio per lunghi mesi o addirittura per uno o due anni e quindi il consumatore medio non sa che il vero Castelmagno ha le venature blu.

Chi parla e ne sa di formaggi deve diffondere questa conoscenza: il consumatore ha diritto di assaggiare un Castelmagno e di non dimenticarsene forma, odore e gusto. Chi assaggia un Castelmagno fresco oggi si ricorda solo della consistenza friabile e gessosa, ma tende a dimenticare tutto il resto e talvolta lo preferisce come prodotto da impiegare in cucina più che non da consumare al taglio, a tavola, in convivialità.

Fatte salve queste considerazioni, il Castelmagno DOP rimane uno dei più grandi formaggi italiani che vale la pena di conoscere nelle sue migliori espressioni e stagionature, attraverso il suo territorio, magari con una vista, attraverso la sua storia, attraverso le sue ricette ed infine, ma non in ultimo, con i suoi abbinamenti enoici che lo fanno compagno di importanti vini rossi vinificati nei loro grandi millesimi.

Zona di produzione:

Comuni di Monterosso Grana, Pradleves e Castelmagno

Denominazione di Origine: Decreto del Presidente della Repubblica del16/12/1982

Denominazione di Origine Protetta:

  • (CE) n° 1263 del 01/07/1996
  • Domanda di modifica ai sensi del Reg. (CE) n° 510/2006 del 21-12-2009

Forma e Dimensioni:

Forma cilindrica, su di una faccia è riportato il marchio del Consorzio di Tutela, il diametro va da 15 a 25 cm., lo scalzo da 12 a 20 cm.

ed il peso da 2 a 7 Kg. La stagionatura minima è di 60 giorni.

All’assaggio:

Aspetto della forma e della pasta:

Crosta bruno-rossastra, rugosa ed ispessita, talvolta ammuffita.

Pasta di colore bianco-perlaceo o bianco-avorio, sottocrosta giallo o ocra. Presenti, a volte, venature di erborinatura blu-grigio-verdastre se più stagionato. Alla consistenza la pasta può essere friabile nelle forme più fresche e più compatta nelle forme stagionate.

Caratteristiche gusto-olfattive:

Aromi intensi e persistenti, ricordano il latte acido della fermentazione lattica, il foraggio secco di montagna, ed il locale umido e fresco della stagionatura. Al sapore predominano l’acido ed il salato, gli aromi più comuni ricordano i vegetali, (fieni, piante aromatiche), gli animali, la stalla e le sensazioni tostate (nocciola, noce). Assume contorni forti e piccanti nelle forme più stagionate.

In bocca la consistenza è dapprima friabile poi finemente granulosa. Il Castelmagno più stagionato è più solubile.

 

Enrico Surra

Maestro Assaggiatore ONAF

 

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