I roghi metafora della Sicilia

4 Agosto 2016 by

 

Come ogni anno, anche l’estate 2016 è funestata da un numero elevatissimo di incendi, che stanno provocando morte e distruzione in tutta Italia.
“In due giorni in Sicilia è andata in fumo macchia mediterranea e boschiva più vasta rispetto a quella distrutta dagli incendi in un intero anno nel 2013 e da giugno e ottobre del 2015. Nelle quarantotto ore di fuoco, in cui è bruciata mezza Sicilia, sono divampati contemporaneamente 800 roghi e incendiati 5.626 ettari di terra (di cui 3.747 non boschiva)” (ANSA Sicilia).
E’ un fenomeno che non conosce confini, nel senso che la sua frequenza sul territorio (dal centro-nord alle isole) è sostanzialmente omogenea.
Quale che sia la natura del gesto, criminale o patologica, chi appicca incendi può essere paragonato a una iena: si attende pazientemente l’arrivo di temperature elevate, la giusta direzione dei venti, l’area più adatta (spesso riserve), e solo dopo si sferra l’attacco.
Dopo aver compiuto il gesto, questi soggetti, anche quelli clinicamente sani, raccontano spesso di aver provato piacere nell’osservare quanto si è stato in grado di devastare.
Ovviamente, quanto andiamo dicendo, può forse valere come discorso generale, perché riflettendo sulla natura dei roghi che stanno massacrando la Sicilia, la sensazione forte è che da noi gli incendi abbiano una matrice di senso specifica, da ricondurre alla storia politica recente di questa terra.
Nessuno può negare che anche in Sicilia agiscano soggetti disturbati o delinquenti dell’ultima ora, ma affrontare la questione alla stessa stregua di altri fenomeni criminali è secondo noi un grave errore. Al contrario, pensiamo che il fenomeno degli incendi rappresenti una metafora della Sicilia, che rimanda all’incastro tragico che lega i suoi abitanti a chi la governa.
Sarebbe facile iniziare la nostra riflessione facendo riferimento all’enorme numero di forestali di cui la Sicilia è dotata, ma questo è solo il sintomo (e non la malattia), l’elemento paradigmatico di quanto andremo affermando.
Anzi contrariamente a quanto si sostiene da più parti, potrebbe anche essere un bene che ci siano tanti addetti alla sicurezza degli ambienti boschivi, perché questo in teoria dovrebbe essere un fattore protettivo del nostro oikos.
Il punto non è quanti siano, ma le ragioni culturali, antropologiche e sociologiche alla base della loro assunzione, e quindi del loro numero, e ripetiamo del rapporto perverso e delinquenziale con chi ha consentito il loro reclutamento.
Dialogando con questi soggetti, è possibile avere svelati i retroscena di qualcosa che è radicato in tutta Italia, ma che in Sicilia assume proporzioni uniche e paradossali.
Essi raccontano, fieri, di essere stati reclutati grazie al favore di qualche politico più o meno potente; purtroppo, essi non colgono che in realtà sono solo vittime (esattamente come noi) del più classico ricatto in pieno stile mafioso, con conseguenze devastanti sul livello delle motivazioni e delle competenze.
Chi si occupa di mafia sa bene che il potere del mafioso si fonda sulla sua capacità di sfruttare la debolezza dell’altro, di cui si decide la vita o la morte, la protezione o la distruzione. Lo slogan mafioso è: tu mi dai la tua fedeltà, io ti do la mia protezione! E’ questo che purtroppo rende la mafia ancora vincente.
Sul piano antropologico, qual è la differenza con il comportamento della nostra classe politica? Come i mafiosi, essi sfruttano quotidianamente il bisogno dell’altro (avere un posto di lavoro) per renderlo succubo. Lo slogan è: tu dai mi fai la tua fedeltà (il voto), io ti do la mia protezione (un lavoro).
Stando così le cose, ci chiediamo: a partire da quali motivazioni al lavoro, questo tipo di lavoro, è mosso l’addetto alla sicurezza dei nostri territori? Quali le sue competenze? Ma chi ha consentito assunzioni indiscriminate sa che per svolgere una professione di aiuto è necessario un livello di motivazione intrinseca molto profonda?
Se questo è vero per gli assunti a tempo indeterminato, la dimensione paradossale massima si raggiunge con i forestali a tempo. Anche in questo caso, si tratta di vittime più o meno inconsapevoli delle dinamiche perverse cui si è fatto riferimento prima.
Ma c’è qualcosa in più: qualcuno di loro ha raccontato di essere stato “costretto” ad appiccare incendi, al solo scopo di essere reclutato e garantirsi un altro anno il lavoro. In quale altra parte del mondo, ci chiediamo, si distrugge l’identità della propria terra (la sua natura) per poter sopravvivere?
I recenti governi regionali hanno affermato che non ha assunto nessuno e che tutte le responsabilità circa il numero elevato di forestali è da addebitarsi ai governi precedenti. Si tratta di un’affermazione che mortifica ancora di più chi in questa terra si sforza di cambiare le cose.
Il punto, cari governatori, non è prendersi i meriti di non avere assunto; la questione è perché non sfruttare questo enorme patrimonio fatto di risorse umane, ma anche di mezzi, per riorganizzare la difesa del territorio, interventi preventivi, di controllo, di repressione, di dislocazione diversa del personale. Perché non lavorare affinché si rendano più severe le leggi nei confronti di chi compie atti così brutali ai danni dell’ambiente?
Il perché è presto detto: tenere questi soggetti sotto scacco, succubi, indifesi, prospettare loro il miraggio di un lavoro per tutta la vita, così da ottenerne un vantaggio al momento giusto.
Questo si chiama “sentire mafioso”.
Ma attenzione, vale la pena di ricordare che non c’è bisogno di essere mafiosi organici per esprimere e sostenere una mentalità mafiosa.
“C’è un attacco politico mafioso dietro questi incendi, l’obiettivo non sono solo i boschi e la speculazione edilizia”. Lo ha detto il governatore siciliano Rosario Crocetta. “C’è stata un’aggressione sul territorio con 800 focolai in contemporanea. E’ un disegno preciso politico, affaristico, criminale della mafia ma anche un attacco a un governo, che combatte la mafia” (ANSA Sicilia).
Solo sconfiggendo questa potremo combattere Cosa Nostra, che in fondo ne è solo l’aspetto più estremo.
Palermo 4 agosto 2016
Guido Falgares

 

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