Il Caciocavallo palermitano

13 Luglio 2012 by

Salvaguardia della tradizione casearia: Indagine microbiologica sulla lavorazione tradizionale del Caciocavallo Palermitano

 

Il caciocavallo rientra nella tipologia dei formaggi a “pasta filata” la cui peculiarità consiste in una duplice lavorazione, la caseificazione propriamente detta e la successiva filatura.

La produzione del caciocavallo è diffusa in tutto il territorio regionale siciliano ed i prodotti economicamente più rilevanti sono il Ragusano DOP ed il Caciocavallo Palermitano, entrambi ottenuti seguendo un protocollo di lavorazione tradizionale molto simile. Questo tipo di lavorazione non prevede l’utilizzo dei fermenti lattici e le attrezzature impiegate per la trasformazione del latte crudo vaccino sono in legno. In riferimento al Caciocavallo Palermitano , che attualmente è privo di marchio di tutela e, quindi, di un disciplinare di produzione vincolante per i casari, si è assistito recentemente a variazioni del sistema produttivo. Difatti, diversi caseifici hanno adottato una tecnologia di caseificazione differente da quella originale e tradizionale, effettuando la termizzazione del latte e impiegando attrezzature in acciaio inox e fermenti lattici commerciali. Questo comporta la contemporanea presenza nel mercato di prodotti ugualmente denominati “Caciocavallo Palermitano” ma ottenuti con procedure che differiscono in maniera sostanziale.

Il Caciocavallo Palermitano è storicamente legato alle razze bovine autoctone siciliane, e principalmente alla Cinisara, capaci di sfruttare con buoni risultati produttivi i pascoli naturali in zone collinari ed impervie dell’isola. L’attuale areale di produzione del Caciocavallo Palermitano comprende tutta la provincia di Palermo ed alcuni comuni limitrofi delle province di Agrigento e Trapani. Una maggiore concentrazione di aziende produttrici si riscontra nelle zone dei comuni di Godrano e Cinisi.

L’auspicabile riconoscimento di un marchio di tutela consentirebbe di distinguere sul mercato questo pregiato prodotto della tradizione casearia siciliana dai formaggi ottenuti in caseifici industriali con tecnologie che prevedono l’uso di attrezzature in acciaio e starter commerciali. Tale distinzione potrebbe consentire un rilancio del formaggio tramite un aumento del prezzo di vendita che, ai bassi livelli attuali, non riesce a ripagare il lavoro svolto dalle aziende zootecniche che trasformano il latte secondo la tecnologia di caseificazione tradizionale; questa, infatti, presuppone due giorni di lavorazione in caseifici tradizionali che, non prevedendo nessuna automazione, necessitano di maggiore manodopera.

La lavorazione tradizionale di questo tipo di formaggio non prevede l’innesto di miscele di microrganismi starter. L’acidificazione della cagliata è resa possibile dai batteri lattici presenti in associazione nei biofilm microbici della tina . Questo recipiente in legno e le altre attrezzature impiegate per la lavorazione sono dei veri e propri “sistemi viventi”. Lo studio condotto dal gruppo di ricerca Bonanno – Di Grigoli – Settanni presso il Dipartimento DEMETRA dell’Università di Palermo ha confermato i precedenti dati disponibili sulla microbiologia delle attrezzature in legno ed ha ulteriormente approfondito gli aspetti legati alla sicurezza igienico-sanitaria, dimostrando l’assoluta dominanza dei batteri lattici sui gruppi di batteri alterativi e/o potenziali patogeni a concentrazioni tali da scongiurare i rischi di alterazione della produzione o di patogenesi del consumatore.

La tina funge, quindi, da serbatoio di innesto dei batteri lattici necessari all’acidificazione della tuma, operazione fondamentale per l’ottenimento della successiva pasta filata che verrà modellata nella sua forma finale. Questi batteri lattici sono adattati all’ambiente del caseificio ed alla tecnologia di trasformazione, la quale prevede il trattamento termico sia durante la cottura della cagliata sia nella successiva filatura. Pertanto, tali batteri possono essere considerati autoctoni per questo tipo di produzione casearia. Inoltre, tale adattamento fa sì che i batteri che si sono selezionati nel tempo possano persistere e dominare sulle popolazioni batteriche lattiche e non lattiche presenti nel latte crudo in entrata al caseificio. Questa presenza garantisce prodotti con caratteristiche organolettiche abbastanza costanti nel tempo. Anche per questo motivo il Caciocavallo Palermitano ed il Ragusano DOP rappresentano alcuni tra i prodotti alimentari siciliani di nicchia che meglio legano le loro peculiarità alla zona di produzione. Del resto, la tradizione si tramanda non solo attraverso il casaro ma anche attraverso i batteri lattici che colonizzano le attrezzature in legno, contribuendo in maniera decisiva alla tipicità del prodotto finale.

Lo studio effettuato sulla produzione del Caciocavallo Palermitano, condotto su vari campioni prelevati durante le lavorazioni effettuate in giorni differenti, dal latte di diversa provenienza in entrata al caseificio fino alla pasta filata da modellare, ha evidenziato che la specie dominante è Streptococcus thermophilus, tipica specie innestata per le produzioni di formaggio a pasta cotta e filata e che fa parte degli starter commercializzati a questo scopo. Il risultato rilevante della sperimentazione condotta sul Caciocavallo Palermitano è stato sottolineato dall’esame dei profili polimorfici dei vari isolati ascrivibili alla suddetta specie. Tali profili possono essere ottenuti dal DNA mediante varie tecniche di fingerprinting che permettono di ricavare una sorta di “impronta digitale” di ciascun isolato e si può così ricavare la composizione dei ceppi della specie Streptococcus thermophilus che caratterizzano questa lavorazione tradizionale. Si è osservato che i  batteri lattici originari della tina formano consorzi di più ceppi di S. thermophilus, altamente adattati all’ambiente del caseificio.

Di contro, l’utilizzo di utensili e attrezzature in acciaio rende necessaria l’applicazione di miscele di microrganismi starter per l’acidificazione della cagliata in tempi brevi. Questa innovazione richiede, pertanto, la completa revisione del processo tecnologico con conseguente perdita della tradizione locale. Inoltre, l’uso di starter commerciali comporta l’appiattimento del gusto del formaggio, in quanto le principali aziende fornitrici di microrganismi per l’industria alimentare (ubicate nel nord Italia) effettuano la selezione di pochi ceppi; questi ultimi trovano poi numerosi impieghi per la produzione di diverse tipologie di formaggi, con il rischio che si ottengano produzioni lattiero-casearie omologate, non più distinguibili per tecnologia di produzione e per origine geografica.

Dr. Luca Settanni
DEMETRA Department
Agricultural Microbiology Unit
University of Palermo
Viale delle Scienze 4

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