Il Brunello da Montalcino

13 Aprile 2011 by

La nascita del Brunello di Montalcino, come vedremo, è coeva a quella dell’unità nazionale, come tutte le storie importanti è ricca di miti e leggende, ma soprattutto di fatti. Un grande vino come il nostro può e deve concedersi il lusso di provare a far prevalere i secondi sui primi, non dovendo curarsi di nascondere passaggi anche difficili della propria storia. Anzi deve essere orgoglioso dei livelli d’eccellenza raggiunti anche a dispetto delle difficoltà superate. Il Brunello di Montalcino Nasce ufficialmente col DPR del 28 marzo 1966 primo rosso italiano a fregiarsi della DOC secondo solo alla Vernaccia di San Giminiano che uscì pochi giorni prima (DPR del 3 marzo 1966). Nel 1980 con DPR del primo luglio 1980, il Brunello è il primo vino, che con la vendemmia di quell’anno potrà fregiarsi della DOCG, ma stante il suo lungo invecchiamento uscirà sul mercato solo nel 1985. Nel 1988 a Montalcino fu organizzato il centenario del Brunello, facendo perciò risalire la comparsa di questo vino al 1888. L’iniziativa, pur priva di solide basi storiche, fu uno straordinario felicissimo momento di comunicazione, che giustificò la forzatura, (il fine giustifica i mezzi). Paradossalmente, le critiche non riguardarono la carente storicità, ma il fatto che si riconosceva pubblicamente alla famiglia Biondi Santi la paternità del vino, cosa vera, ma molto ostica da far digerire ai tanti produttori. La data è storicamente criticabile, se solo si rammenta che: nel 1869 il Comizio Agrario del Circondario di Montepulciano, in occasione dell’esposizione agraria della provincia di Siena premiò con due medaglie d’argento: un vino rosso scelto (brunello) 1865 ed un Moscadello mussante 1867. Sebbene con la minuscola è la prima citazione ufficiale nota di questo vino, che perciò è nato perlomeno nel 1865. Il termine Brunello deriva dall’uva, che all’epoca si riteneva erroneamente un vitigno a se. Una delle sue prime citazioni la troviamo nella disquisizione fatta nel 1843 dal presidente dell’Accademia senese dei Fisiocritici, per illustrare i risultati ottenuti dal suo latifondo di Presciano alle porte della città messo a disposizione dell’Accademia. Annota(1) d’aver ripiantato una sua vigna vecchia, che nello stesso filare conteneva più varietà d’uve, secondo lo stile moderno, con viti maritate a testucchi di “gorgottesco”, di “canajolo”, di “procanico”, di “sangiovese”, di “malvagia”, di “marrugà”, di “brunello”. L’originalità di questo presunto vitigno, stimato tipicamente montalcinese, viene però messo in dubbio dalla commissinione ampelografica della provincia di Siena con la relazione sui lavori eseguiti sul territorio di Montalcino dal set. 1875 all’ott. 1876: “Si dubita che il Brunello di Montalcino ed il Prugnolo di Montepulciano non siano altro che un Sangioveto od almeno una delle sue sottovarietà”. Nella stessa relazione manoscritta all’ultima pagina c’è un appunto sull’analisi d’un Brunello di 32 anni. Per questa ragione, secondo alcuni: il Brunello esisteva già nel 1844. E’ più probabile invece che il commissario estensore del documento ben conoscesse gli esiti dell’esposizione-concorso di Montepulciano del 1869, della quale forse è possibile, che ne fosse stato addirittura, membro giudicante. E’perciò logico supporre che il nome Brunello, quel vino di 32 anni, lo abbia acquisito al momento delle analisi e non bensì al momento della sua produzione. Perché è indubbio che a Montalcino si facessero da tempo vini a base di Brunello-Sangiovese, con uvaggi all moda chiantigiana. Manca però un qualsiasi documento che attesti che quei vini fossero chiamati col nome del vitigno prima del 1865. L’uvaggio del Chianti (Sangioveto, Colorino, Canajolo, Trebbiano e Malvagia) aveva grande successo perché stemperava e rendeva migliore la base Sangiovese, già allora notoriamente dura. Una mirabile conferma ce la da Bettino Ricasoli (per 2 volte primo ministro del neo-regno d’Italia), nel suo carteggio col prof. Cesare Studiati (Pisa), parlando del Chianti, scriveva nel sett. 1872: “…Mi confermai nei risultati ottenuti già nelle prime esperienze cioè che il vino riceve dal Sangioveto la dose principale del suo profumo (a cui io miro particolarmente) e una certa vigoria di sensazione; dal Canajuolo l’amabilità che tempera la durezza del primo, senza togliergli nulla del suo profumo per esserne pur esso dotato; la Malvagia, della quale si potrebbe fare a meno nei vini destinati all’invecchiamento, tende a diluire il prodotto delle prime uve, ne accresce il sapore e lo rende più leggero e più prontamente adoperabile all’uso della tavola quotidiana…”Queste riflessioni evidenziano la difficoltà, per via della durezza del Sangioveto, di avere da questo: vini gradevoli senza ricorrere a tagli col Canajuolo, nel caso di vini destinati all’invecchiamento, o ancor più alla Malvagia per i vini di pronta beva. Clemente Santi di fatto anticipò di un decennio le conclusioni del Ricasoli proponendosi di fare un vino con forte base di Sangiovese-Brunello, pensato per l’invecchiamento, senza però quella pruriginosa esasperazione della purezza-verginità dei nostri giorni. Su questo input suo nipote, Ferruccio Biondi Santi operò un’opportuna selezione clonale del Sangiovese-Brunello, che come si legge nel sito aziendale:”.. che portò col tempo ad individuare un clone particolarmente ricco di colore, estratti ed acidità che fu alla base delle successive vinificazioni che diedero i risultati attesi. In seguito questo clone fu usato per gli innesti dopo il morbo della fillossera.”Che secondo Piero Zoi arrivò a Montalcino nel 1903-4. Comunque a fine 800 il Brunello si produceva con uvaggio di derivazione chiantigiana, come ben spiega il prof. Riccardo Paccagnini enologo montalcinese (1854-1934). Che editò nel 1907 il suo: Trattato Teorico Pratico di agricoltura ed enologia. Egli vinse coi suoi vini molti premi ed in particolare 2 medaglie d’oro con un suo Brunello del 1894 alla prestigiosissima esposizione internazionale di Bordeaux del 1904 e poi nello stesso anno a quella consimile di Marsiglia. L’una e l’altra, va rimarcato ben più importanti delle ricordate medaglie d’argento del 1869 dell’esposizione provinciale di Montepulciano. Paccagnini pare non conosca le riflessioni di Ferruccio Biondi Santi, perché forse tenute segrete, o perché probabilmente non le riteneva interessanti. Infatti, ancora nel 1907, per grandi vini rossi da invecchiare anche 20 anni, quello che gli estensori del sito: Montalcino ieri chiamano Brunello; indicava un generico uvaggio di uve bianche e nere: Brunello, Sangiovese, Aleatico e tutte quelle qualità nere d’acino piccolo; bianche poi Malvasia, Prucanico, Dolciame ecc. Paccagnini non lasciò eredi professionali, come fortunamente capitò ai Biondi Santi. IL radioso preludio purtroppo si scontrò: con la fillossera, due guerre mondiali la battaglia del grano, gli interessi dei signori padronati (i latifondisti proprietari dell 80% della proprità, così li chiamava nel 1927 Tancredi Biondi santi) le difficoltà della ricostruzione del secondo dopoguerra, avevano lasciato solo un tenue lumicino. Ma tanto bastò ad Ilio Raffaelli sindaco dal 60 all’80, per rilanciare mirabilmente le sorti di Montalcino, guidando i produttori, piccoli e grandi, verso la costituzione del consorzio e l’ottenimento della DOC. Dice Raffaelli : “Il disciplinare del 1966 ebbe uno scopo semplice e preciso: dare un carattere tipico ad un vino, il Brunello, che pur avendo ricevuto riconoscimenti ed essendo già ampiamente apprezzato era un vino fatto senza un metodo definito.” Nota inoltre, che nonostante il Brunello, all’inizio del 900 avesse avuto innumerevoli riconoscimenti in Italia ed all’estero, come già ricordato, non veniva citato nel questionario dei prodotti tipici del territorio del 1921, dove invece figurava il Moscadello. Dice ancora: “…pensiamo cosa volesse dire passare dal vino tradizionale, fatto con uve indefinite, giovane acidulo, da vendere in damigiane o fiaschi di varie misure, ad un vino più codificato, invecchiato cinque anni in botte, di almeno dodici gradi e mezzo e venduto in bottiglie bordolesi! Fu una rivoluzione culturale,…”

Tornando al vitigno gli esperti della commissione ampelografica del 1875-76 avevano visto giusto, ma per più d’un secolo rimasero inascoltati. Infatti sia il disciplinare della prima DOC del 1966 che quello della prima DOCG del 1980 indicavano come vitigno: “Brunello di Montalcino” (Sangiovese grosso) e solo col DPR del 4 nov.1991 si dice: “Sangiovese” (denominato a Montalcino, “Brunello”)Se il “Brunello” fosse stato un vitigno a se, sarebbe stato possibile piantarlo ovunque con decine di vini Brunello di vattelapesca. Inoltre all’origine del 1966 non era prevista l’esclusività del vitigno che venne introdotta nel 1980, insieme alla rinuncia ad utilizzare un dieci percento di vini e mosti di altre zone. L’invecchiamento inizialmente era previsto in botti di legno, che diventano di rovere e castagno nel 1980, che diventano definitivamente contenitori di rovere col disciplinare del 1996. Infine un nuovo disciplinare del 1998 introduceva, di nuovo, primo vino in Italia, un periodo obbligatorio di 4 mesi, 6 per la riserva, di affinamento in bottiglia, riducendo a 24 mesi, l’invecchiamento nel rovere.

Allegati

Appunto della commissione ampelografica provinciale 1875-76

 

Relazioni da Montalcino del 1865 sul Gionale agrario toscano, Accademia dei Georgofili di Clemente Santi, anno di produzione del primo brunello (con la minuscola, come nel diploma)

6-aprile

 

30 giugno

 

 Tommaso Bucci

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