la “Tuma persa”

26 Dicembre 2016 by

Tuma Persa
Tipologia: formaggio a pasta pressata, tenera, cruda o semicotta
Area di produzione: Monte Sicani, in particolare il comune di Castronovo di Sicilia
Parlando della Tuma Persa,
potremmo raccontare la stessa storia del Fiore Sicano, dato che è sempre lo stesso ex giovane che realizza un prodotto innovativo, legandolo  a doppio filo al territorio, e alla tradizione.
Da un lato il casaro entusiasta Salvatore Passalacqua  e dall’altro  un altrettanto entusiasta Prof. Roberto Rubino, allora direttore del Centro di Ricerche CRA-Zoe a Bella (Potenza), (oggi presidente dell’ANFOSC (Associazione Nazionale Formaggi Sotto il Cielo); i due collaborarono per ridare vita ad un formaggio di cui si avevano incerte tracce.
Giù nel 1878 in una lettera a firma di Targioni-Tozzetti al professore Giuseppe Inzenga [(1816-1887) Accademico dei Georgofili  ed insigne studioso per tutto l’800 di questioni riguardanti  il mondo agrario siciliano, ricoprendo molteplici e prestigiosi incarichi  nelle Università di Palermo e nelle istituzioni scientifiche collegate] si parla
di un” cacio bufalo”.
Il professore Alberto Romolotti in una sua pubblicazione del 1936, “i formaggi siciliani”, oltre ad esaltare  l’importanza del pascolo: “il latte è ricco di grasso ed ha un particolare profumo, dovuto alla bontà dei pascoli e delle praterie, che costituiscono la prima ricchezza di un territorio”, ci descrive “I tipi di formaggi che si fabbricano in Sicilia” e cita il “Cacio Bufalo di cui dice:
“Per non ingenerare equivoci, si premette che, malgrado il nome di bufalo, questo formaggio viene fabbricato con latte di vacca e di pecora, mai col latte di bufala, perché non esiste questa specie bovina in Sicilia”.
[Tale denominazione era un tempo usata in Provincia di Palermo e in particolare nei comuni di Cefalù, Isnello, Gratteri ; mentre in Provincia di Siracusa si chiamava « cacio ture» ed in quello di Catania «toma perduta »].
Il Romolotti continua descrivendo la tecnologia di caseificazione:
Il cacio bufalo si confeziona con latte intero preferibilmente di vacca, che si quaglia in tini di legno duro nel solito modo che abbiamo descritto per il caciocavallo. Avvenuta la cagliata si rompe e si sminuzza a freddo con la rotella, in modo da ridurre in piccoli grumi della grossezza del riso e la si lascia depositare in fondo al tino. Si espurga la cagliata del siero, e si preme ripetutamente con le mani e con la rotella fino a che non venga eliminata la maggiore quantità di siero ed i grumi acquistino la necessaria coesione, perché meglio aderiscono fra loro. Ciò fatto si toglie la pasta (tuma) dal tino e posta sul tavoliere, si manipola, comprimendola con le mani e si pone nella cesta speciale, di forma più grande, ma più bassa di quella del canestrato, da contenere circa kg. 10-12 di pasta. Formato così il cacio si pone sempre dentro alla sua forma nel tino di legno, versandovi tanto siero bollente da coprirlo. Sul tino si pone un coperchio di legno o un panno di lana ed il formaggio vi si lascia fino a quando il siero non sia raffreddato. Si estrae allora dal tino e si ripone sul tavoliere per asciugarlo, dopo di che il cacio si porta nel magazzino e si lascia in terra fino a che la superficie esterna non presenta un leggero strato di muffa. A questo punto il formaggio si mette in salamoia per 8-9 giorni a seconda il peso della forma, e dopo si pone sullo scaffale di legno, avendo cura nei primi giorni di cambiarlo di posto, ponendo in alto la superficie che era nel basso nel giorno avanti e viceversa. Quando si voglia ottenere cacio-bufalo fermentato, allora dopo la prima muffa, anziché porlo subito in salamoia, si strofina con una pezzuola il cacio, sino a togliere ogni residuo e, cambiata la cesta, il cacio si ripone in magazzino, fino ad ottenere una seconda muffa verdognola, che ne ricopre tutta la superficie. A questo punto si toglie il cacio dalla cesta e si pulisce bene dalle muffe, strofinandolo con uno straccio, indi si pone in salamoia per tanti giorni quanti chilogrammi pesa la forma. Tolto dalla salamoia, la forma deve essere posta su di un piano inclinato e senza contatto con altre forme, per potersi asciuttare bene”.
Il Prof. Giuseppe Licitra, allora presidente del CORFILAC, nella prefazione alla ristampa del  volumetto del Romolotti, ribadisce

  • come questo testo sia attuale per l’indirizzo generale dell’attività agricola zootecnica e per molti degli aspetti strutturali;
  • come sia testimone di una serie di formaggi e tecnologie di produzione di grande interesse per la memoria storica delle tradizioni casearie dell’isola.
  • e come rilevante risulti la descrizione delle attrezzature di caseificazione e dei locali di stagionatura ancora riscontrabili nel mondo della caseificazione tradizionale”.

E suggerisce: “ la necessità di riportare all’attenzione degli operatori del settore la descrizione di un formaggio ormai scomparso: il Cacio Bufalo, al fine di stimolare la ripresa della produzione”.
Il Prof. Rubino insistette con Salvatore Passalacqua, affinché procedesse al recupero di questo formaggio.
E fu così che, Salvatore s’incamminò in quella che si sarebbe rivelata la più grande avventura della sua vita (almeno sino ad oggi).
Una mattina (marzo del 2000), ispirato da quella che sembrava una rievocazione del passato, si avventurò “su quelle incerte tracce” nella realizzazione “a modo suo” della “Tuma persa”.
Dopo, Salvatore di “tume” ne fece tante altre, ovviamente modificando ogni volta qualcosa nella tecnologia di produzione.
Qualche tempo dopo decise di tagliare le forme di formaggio; di tutte le prove fatte lo entusiasmò soltanto la prima che lui definisce ancora oggi: la forma ”perfetta”. “Folgorato sulla via di Damasco”.
Oggi la Tuma Persa è esattamente quella della mattina del marzo del 2000.
Il procedimento prese sì spunto dalle linee guida  riportate dal Romolotti, ma queste furono operativamente modificate dalle particolari ed efficaci innovazioni del Casaro Passalacqua con la consulenza del prof  Rubino.
Oggi la tuma persa è un significativo esempio di come prodotti, per vari motivi scomparsi, possano tornare ad esser un valido suggerimento per un prodotto attuale.
Da quel marzo è partita l’avventura che ha portato Salvatore Passalacqua, ad ampliare l’azienda per poter aumentare considerevolmente la produzione, dato che le richieste sono sempre state, e lo sono ancora, in crescente aumento.
Alla mia domanda, perché non ha spostato l’azienda in un posto logisticamente più comodo, ha risposto che non ha alcuna intenzione di allontanarsi dai pascoli e dal territorio dove tutto questo ha avuto origine.
Scheda tecnica
Prodotto caseario autoctono, noto da circa un secolo nell’area dei monti sicani.
L’antenato di questo formaggio, denominato  Cacio bufalo, per motivi sconosciuti è stato abbandonato dalla tradizione casearia. Oggi viene prodotto con latte vaccino ma mai di bufala.
Area di produzione: Monti Sicani in particolare il Comune di Castronovo di Sicilia, unico produttore, il Curatolo  Salvatore Passalacqua
Linee principali di produzione
Latte intero crudo, di vacca.
Microflora: naturale
Caglio: pasta di capretto
Alimentazione: pascolo naturale e coltivato, con integrazione in stalla di fieno e concentrati in quantità variabile rispetto alla stagione foraggera.
Principali peculiarità storiche sulla tecnologia di caseificazione
La prima fase di produzione, utilizzando latte vaccino, ricalca esattamente quella prevista per il Canestrato di cui si utilizza la stessa attrezzatura.
(Tuma persa: il latte viene coagulato in una tina di legno in 50/60 m’ con caglio in pasta di capretto; la rottura della cagliata con la rotula di legno –dimensioni di chicchi di riso- etc.)
La Tuma Persa nasce praticamente nella stagionatura; il nome pare abbia un legame diretto con tale fase in quanto la tuma, dopo essere stata messa in forma, viene abbandonata (“persa”) per 8-10 giorni; viene quindi lavata in maniera grossolana dalla muffa creatasi e riabbandonata per altri 8-10 giorni prima di essere nuovamente lavata, spazzolata e, finalmente, salata.
La crosta è di colore giallo-ocra; diventa scura in seguito alla curatina, cioè alla cappatura eseguita con olio d’oliva e pepe macinato.
La pasta è tenera, compatta e tendente a sgranarsi, con scarsa occhiatura, di colore bianco virante al paglierino. Il sapore è tra il dolce ed il piccante ma mai salato, con un retrogusto lungo ed aromatico che ricorda vagamente i formaggi erborinati.
La forma è cilindrica a facce piane con uno scalzo variabile da 10 a 12 cm e il peso varia da 7 a 8 Kg.
Attrezzature storiche:
Tina di legno
Ruotula
Il tavoliere di legno
I canestri di giunco
Locali di stagionatura
Costruzioni in pietra calcarea con muri molto spessi e seminterrati. Le forme vengono poggiate su scaffali di legno di leccio o quercia.
Le Conclusioni del Curatolo Passalacqua
Stiamo parlando di latte e formaggi ma, di fatto, stiamo affrontando problemi molto più grandi, stiamo parlando di come si può preservare un territorio, di come sarebbe abbastanza semplice evitare il dissesto idro-geologico, stiamo affrontando problemi socio-economici, di come non sarebbe difficile creare dei posti di lavoro dando dignità ad un comparto dove, ad oggi, solo la passione ti porta a continuare su un territorio che sembra non appartenere a questa classe politica, che parla di “internazionalizzazione delle imprese”, senza curarsi che per raggiungere le proprie aziende, molti produttori del comparto agro-zootecnico, ancora oggi, devono affrontare dei percorsi così accidentati che nemmeno in Azerbaigian troviamo, eppure parliamo di strade statali o provinciali che i nostri politici non hanno alcun interesse a percorrerle (in queste lande di voti c’è né sono pochi, le elezioni si vincono in città).
Allora, come possiamo attirare compratori se non siamo in condizione di garantire le consegne dei nostri prodotti nei tempi? Se un trasportatore, e ha ragione, è costretto a chiedere quasi il doppio per effettuare un ritiro in queste lande desolate?
Basterebbe poco per innescare quel circolo virtuoso che potrebbe far ripartire un’economia ormai ridotta al lastrico, speriamo almeno abbiano capito che di LSU non si può vivere, e che quei pochi superstiti del comparto produttivo, non c’è la fanno a lavorare per mantenere questo parassitismo.
Pensare che ci sarebbe il modo di far guadagnare di più i Pastori e i Vaccari, aggiustando di poco il tiro, lo sapevate che la crema di ricotta zuccherata che comprate con i vostri dolci, al 60%, non proviene da ricotta siciliana? E che continuano a spacciarla per ricotta siciliana? Molti addirittura aggiungono la fecola di patate.
A chi leggifera questa cosa non interessa a quanto pare, eppure basterebbe far sì che si obblighi chi fa questo di mestiere a dichiararne la provenienza, dotare gli organi preposti al controllo con strumenti validi, e in automatico la ricotta siciliana prenderebbe quotazione, permettendo una ricaduta di valore aggiunta sul prezzo del latte. E di questi esempi ne potremmo fare tanti altri. Senza mai sottovalutare che così i figli non scapperebbero da una vita di soli stenti, quindi si ripopolerebbero le campagne.
Ci piacerebbe tanto avere delle risposte a queste domande, ma pare che i nostri governanti, e quindi tutti noi, non abbiamo ancora preso coscienza che la soluzione può venire solo dalla terra.

 

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