Differenze tra Parmigiano Reggiano e Grana Padano
Differenze tra i due formaggi:
- Il Grana Padano è prodotto in una zona più ampia, che comprende Lombardia, Piemonte, Trentino Alto Adige, Emilia Romagna e Veneto.
- Il Parmigiano Reggiano è prodotto per lo più in Emilia Romagna, nelle province di Parma, Reggio Emilia, Bologna, Modena e una parte anche nella provincia lombarda di Mantova.
- L’alimentazione delle bovine per il Parmigiano Reggiano deve essere esclusivamente fatta di erba cresciuta nella zona di produzione del formaggio, mentre per il Grana Padano le bovine possono essere alimentate anche con gli insilati.
- Il Grana Padano può essere prodotto con due lavorazioni al giorno, mentre per il Parmigiano Reggiano è concessa una sola lavorazione al giorno.
- Il disciplinare di produzione del Consorzio del Parmigiano Reggiano vieta l’uso di qualunque conservante; per il Grana Padano è ammesso unicamente l’impiego del lisozima che è una proteina naturale dell’uovo.
- Il Grana Padano è meno grasso del Parmigiano, arriva quindi a stagionatura prima. Infatti il Grana Padano diventa tale con 9 mesi di stagionatura; mentre il Reggiano deve avere almeno 12 mesi di stagionatura.
- Il caglio impiegato per produrre il Grana Padano DOP può essere solo ed esclusivamente di origine animale, ed in particolare caglio di vitello, come testualmente riportato nel disciplinare di produzione.
L’insilato è il prodotto di una tecnica di conservazione del foraggio (l’insilamento) che si realizza per acidificazione della massa vegetale a opera di microrganismi anaerobi allo scopo d’impedire a microrganismi alteranti e potenzialmente tossici di proliferare all’interno della massa vegetale provocandone il consumo (perdita di valore nutritivo) e lo sviluppo di sostanze insalubri.
L’insilamento è una tecnica molto antica (documenti storici risalgono al 1500 a.C.); consiste nello stoccaggio della massa vegetale in particolari contenitori chiusi (i silo tradizionali) o anche, più semplici e diffusi, in silos all’aperto a forma di bunker, costituiti da piattaforme di calcestruzzo munite di muri di contenimento, ove il foraggio sminuzzato viene compattato ed infine sigillato da un telone di materiale plastico isolante dall’aria: la tecnica consente di ottenere un alimento facile da introdurre nelle razioni alimentari per l’allevamento perché appetibile e chimicamente stabile durante l’anno, sostituendo in tutto il foraggio verde (l’erba) e quello essiccato (il fieno), anche se tuttavia nell’alimentazione bovina quest’ultimo viene in parte mantenuto per ragioni fisiologiche. I silos isolando la massa dall’ambiente esterno, impediscono l’apporto di ossigeno; quello presente naturalmente all’interno della massa viene consumato nel primissimo periodo della maturazione dell’insilato da parte dei batteri aerobi presenti e dalle piante stesse. Nei primissimi giorni, infatti, si ha una fermentazione acetica aerobia che abbassa il pH fino a 4,5-5. L’acidificazione dell’ambiente del silo porta allo sviluppo dei batteri lattici che opereranno la fermentazione lattica, portando il pH a valori anche minori di 4.