SIAMO TUTTI “INDIGNADOS”

18 Novembre 2011 by

Abbiamo assistito ai fatti di piazza accaduti a Roma sabato 15 ottobre e tutti abbiamo deprecato la violenza espressa in modo drammatico da alcune frange numerose di dimostranti, poi rivelatisi perfettamente organizzati anche logisticamente, e con una regia premeditata.

 

Purtroppo quelle degenerazioni, riproposte dai media nei giorni successivi con martellante dovere di cronaca, hanno cancellato nell’immaginario della popolazione la validità delle tesi portate avanti dalla manifestazione che fluiva pacificamente nella bella Roma immersa in una delle sue tipiche e decantate giornate d’ottobre.

 

Il movimento degli “indignados”, che si è fortemente alimentato attraverso le pagine virtuali di Facebook e degli altri siti di tam-tam proliferati su internet, esprimeva un malcontento diffuso e una sensazione di disagio sociale la cui caratteristica più significativa è risieduta nella diffusione in regioni assai ampie, superando i confini degli stati nazionali e delle loro politiche contingenti o particolari.

 

Primi fermenti vivaci e drammatici sono risieduti nei movimenti per la libertà che con un fuoco contagioso sono divampati nelle terre dell’Africa mediterranea fin dall’inizio dell’anno e che hanno poi portato al crollo di molti regimi autoritari e all’instaurarsi di regimi democratici “in nuce”, con ampie speranze future per le popolazioni da lungo tempo vessate. Base di questi movimenti, peraltro ancora attivi in Paesi come Siria, Oman e Yemen, è stata però un diffuso sentimento di ribellione, anche cruentamente armato, nei confronti dei regimi che praticavano diffusamente una vera repressione antidemocratica.

 

Con caratteristiche tutt’affatto diverse, traendo origine dalla vita ampiamente democratica in cui potevano muoversi, il 15 maggio in ben 58 città di Spagna si manifestarono cortei che si aggregavano attorno ad un sentimento di indignazione per la rilassata conduzione della politica interna, incapace di porre un serio contrasto alla dilagante crisi economica.

 

“Indignados” fu la parola ripetutamente scritta in numerosi cartelli e striscioni. Parola che riassumeva non certo sentimenti di ribellione o volontà di sovvertire l’ordine, ma un diffuso malcontento sociale che voleva sollecitare le forze politiche a riflettere sulle conseguenze della crisi economica che aveva oramai investito tutta la popolazione e sollecitava una svolta nella conduzione politica che fosse capace di mettere in atto seri provvedimenti economici e sociali.

 

Gli indignados furono attivi, raccogliendo consensi e ingigantendo le proprie fila, per molti successivi giorni. Fortunatamente i cortei e le aggregazioni furono tenuti in modo da evitare contrasti violenti con le forze dell’ordine e non vi furono vittime. Il movimento aveva dunque avuto successo e, più importante, aveva seminato anche per la comunità internazionale che trasse spunto e coraggio per individuare i propri elementi di indignazione e attuare analoghe forme di manifestazione del malcontento sociale. A cui abbiamo poi assistito.

 

Gli elementi di indignazione risiedono per tutti, come è apparso sempre più evidente negli ultimi tempi, nello strapotere della finanza internazionale che, ingovernabile da pare di ciascun singolo governo, europeo o americano, sta dettando legge superando la politica intesa come capacità delle popolazioni, attraverso i propri sistemi di rappresentanza, di darsi regole e fornire soluzioni per il mantenimento e lo sviluppo ordinato della società

 

Finanza internazionale che fiducia o sfiducia intere nazioni, premiandole o punendole, e così aumentando il divario tra ricchi e poveri ma, anche, impoverendo d’un tratto anche i ricchi che, esposti come normale con un debito ritenuto ordinario, vengono richiesti di “rientrare” a tempi brevi. E’ simile al collasso di un imprenditore il quale si veda chiudere, per sola “sfiducia” delle Banche, originata da logiche sospette e non economiche, le sue linee di credito improvvisamente, mentre, con la sua ottima azienda, sta procedendo alla evasione normale degli ordini, anche attento agli investimenti necessari per le sue future produzioni ed espansioni.

 

La finanza internazionale è fatta da uomini che si coprono dietro la logica del profitto assunto a deità assoluta, senza limiti ad esso, nel senso che più è bravo e premiato chi guadagna di più, e non vi è nessun limite superiore, e non vi è alcun rispetto delle regole comuni. Questa finanza internazionale deve essere riformata al più presto, almeno nella semplice parte che impedisca di guadagnare sulla promessa, in una scommessa continua. E’ ancora permesso, malgrado l’individuazione e la denuncia da parte di economisti e di capi di governo, compreso Obama, di comprare e vendere titoli senza dover versare il capitale, lucrando poi sui differenziali ottenuti. Siamo in preda, questa è la verità, di una economia internazionale di giocatori d’azzardo che pretendono poi di non rimetterci qualora le loro giocate siano state fallimentari.

 

Questo è successo con le Banche, soprattutto francesi e tedesche, che si sono fortemente esposte con Spagna, Portogallo e Grecia, paesi prima fortemente “pompati” di denaro ma che poi non hanno retto di fronte alla congiuntura internazionale subendo troppo severamente la diminuzione di credibilità attraverso il sistema degli indici di “rating” delle note società americane. Queste ultime parte del perverso gioco e che godono di troppo credito senza avere alcun controllo da parte di Authorities sovranazionali formate da rappresentanti dei governi mondiali.

 

Siamo stati contagiati, anche noi italiani, da questo sistema. Noi che abbiamo inventato e diffuso il sistema bancario moderno in tutta Europa con i banchieri rinascimentali di Siena, primi i Chigi, e di Firenze, primi i Medici, abbiamo le nostre Banche ancorate ai principi secolari di prudenza e di ricchezza. Esse sono rimaste ai sistemi della antica tradizione e non hanno concesso crediti, come sappiamo anche dalla esperienza di ciascuno di noi, solo sulla base della fiducia e della scommessa.

 

Le nostre Banche hanno costruito e costituiscono la solidità del Paese, senza possedere se non quote minoritarie di titoli avvelenati. Il nostro popolo detiene vera ricchezza, possedendo ad esempio un reale patrimonio immobiliare di proprietà. I nostri fondamentali sono molto solidi e non sono in mano a Banche d’Affari, mai seriamente entrate nel nostro sistema. Qualche riflessione negativa può essere forse fatta sui Fondi Pensione, oggi resi obbligatori, che fanno oramai parte della finanza internazionale e delle sue logiche.

 

Dobbiamo invece oggi, malgrado la nostra sostanziale solidità, soffrire e dovremo ancor più soffrire economicamente, perché stretti da una speculazione internazionale che ha molto di politico e di volontà di primazia in Europa dei due cugini storici, Francia e Germania, speculazione che ci stringe sul debito pubblico, spaventandoci quotidianamente e condizionandoci con un sistema di sfiducia centrato, oggi, sul differenziale rispetto alla “bontà germanica”.

 

Ci sono elementi perché, una volta, si addivenisse alle armi. Ma non siamo, fortunatamente, a quei tempi, il focoso e sanguinario secolo ventesimo è passato e dobbiamo guardare al futuro, pretendendo che noi, assieme alle altre nazioni tradizionalmente forti dell’Europa, si giunga presto a formulare e attuare un governo politico dell’Unione con una politica interna, estera e monetaria centrale. Ovviamente con una Banca Centrale con pieni poteri per la difesa della divisa comunitaria da speculazioni internazionali.

 

Fino a quel momento, speriamo non utopistico, non possiamo oggi, soffrendo economicamente e socialmente per tutto quanto avviene, altro che essere, veramente, inesorabilmente, “indignados”.

 

Related Posts

Tags

Share This

Leave a Reply