La Spumantizzazione

15 Ottobre 2011 by

“Garbo ride” era il lancio pubblicitario del film Ninotchka, nel lontano 1939: la divina Greta rideva per la prima, ed unica, volta sullo schermo. La rigida funzionaria sovietica, impersonata dall’attrice svedese, si lasciava sedurre all’amore e all’Occidente nel corso di una cena elegante, affidata allo champagne.

Quel vino, fervido di minute bollicine, scioglie la diva dalla sua algida distanza così come favorisce l’euforico abbandono di tutti noi.

La spuma s’insinua, sottile e impalpabile, fin dentro qualche recondito accesso del nostro umore, per disporlo a una misteriosa letizia.

Perché, dunque, questo vino rifermentato dovrebbe essere sinonimo di festa, compagno di raffinata allegria, immancabile sodale d’ogni brindisi?.

Forse il moto ascensionale delle bollicine ci suggerisce un allentamento delle tensioni e una liberazione dai gravami.

Se fossimo teologi, e non lo siamo, potremmo azzardare che quanto ascende al cielo, santi compresi, s’affranca dagli oscuri pesi della prolissità quotidiana, in cerca d’incorporare voluttà ( quanti sanno che “giaculatoria” deriva dal latino “iaculatoria”, perché si lancia in alto verso il cielo?). Eppure quel piacere misto ad euforia è invece tutto veicolato dai sensi, compreso il tatto che la carbonica sollecita. Lo spumante ci proietta verso la dimensione della leggerezza, di quell’aurea e mozartiana levità che riscatta l’esistenza senza negarla asceticamente o senza costringerla nei vincoli avvilenti della partita doppia.

Se è vero, come sosteneva il poeta Hugo Hofmannsthal, che la profondità si nasconde in superficie, quella spuma addensata verso la superficie del liquido fa baluginare la complessa vitalità del vino e del vivere, pur senza imporci di analizzare gli inevitabili aspetti amari.

Non è infatti, soltanto, la semplice prurigine del gas carbonico a incantarci. La grandezza di uno champagne si misura con la sua complessità. Così non fosse, qualunque bibita o vinello artificialmente gasato potrebbe concederci quel deliquio lieve ed eccitato, quell’aerea avvolgenza e la complessità si ottiene con un lungo lavoro, con un’arte raffinata, con una lenta maturazione sulle fecce (se parliamo di spumanti “classici” o champenois). Un particolare crudele, come spesso per le cose squisite del mondo: le fecce derivano dalla decomposizione dei lieviti che, terminato il loro ufficio fermentativo, vengono lentamente lasciate morire d’inedia, ossia per carenza d’alimento zuccherino. Non temano però i vegetariani giacché i lieviti, pur viventi non appartengono al mondo animale.

Che lo spumante sia opera d’arte e di sapienza non v’è dubbio.

Nell’abbazia (benedettina) champagnarda di Saint Pierre di Hautvillers (Dom Perignon, abate; 1668, anno d’ingresso nell’abbazia – 1715, anno della morte. Mette a punto gli assemblaggi e la pressatura frazionata in modo da ottenere un succo bianco da uve nere; fa scavare nella “craie” delle cantine in modo da ottenere una temperatura costante; modifica la forma delle bottiglie aumentando la loro superficie –fondo convesso- e il loro spessore in modo da ridurre il pericolo di rottura; introduce il tappo di sughero) inventarono “leggendariamente” lo spumante per conferire una maggiore gradazione alcolica e serbevolezza a un vino fresco ed elegante ma esile, in ragione del clima nordico: Così le invenzioni umane soccorrono la natura quando essa è carente. Sopperiscono con l’arte della necessità e, tramite essa, valorizzano quanto la natura possa offrire. Così avviene, ad esempio, coi profumi varietali dei vitigni aromatici, esaltati dai nostri charmat (o meglio “metodo Martinetti”).

L’aggettivo brillante si addice al nostro “mousseux”: le sue piccole perle ascensionali ci elargiscono la breve estasi d’una multipla rifrazione della luce. Brillio di bolle in moto vorticoso eppure placido. Il bicchiere scintilla nelle nostre mani e quei raggi, tenui ma divergenti, ci restituiscono la luminescenza dei cristalli puri, l’antica vertigine dei preziosi.

Nel nome “Metodo classico” c’è un qualcosa di rassicurante; nelle bollicine vivaci, nei profumi sofisticati e nel pizzicore che solletica il gusto, qualcosa di stuzzicante. E di emozionante, come gli intensi colori che sfumano in calde tonalità dorate, le intriganti sensazioni odorose di pane appena sfornato e frutta matura, sfumate dalla dolcezza del miele.

A volte il giallo è tenue e il profumo più delicato, rinfrescato da sentori di fiori e frutti appena colti su uno sfondo di fragrante lievito. Il segreto di queste differenze? Terreno, clima, vitigni, epoca della vendemmia, riposo in bottiglia a contatto con i lieviti e un’attesa che dura in cantine silenziose.

I migliori spumanti vengono prodotti in zone con climi freschi e decise escursioni termiche sia stagionali che tra giorno e notte, come in Trentino, Alto Adige, Lombardia e Champagne. Anche altrove è possibile raggiungere buoni livelli qualitativi, ma sono necessarie particolari condizioni pedoclimatiche.

Il terreno gioca un ruolo determinante, con colline ben esposte e ricche di minerali e, in Champagne, quel particolare strato gessoso definito Craie, è in grado di nutrire la vite ma anche di riflettere lentamente, di notte, il calore dei raggi del sole.

E poi le uve, come Chardonnay e Pinot Nero, in grado di esprimersi al meglio anche nello spumante.

La vinificazione in bianco annulla la differenza del colore, ma i profumi e i sapori sono diversi. Più strutturato e longevo, il blanc de noirs da Pinot Nero ha un profumo forse meno seducente, ma altrettanto elegante. È più profondo e penetrante. In bocca, poi, l’intensità del suo sapore sfuma in un’inconfondibile scia ammandorlata, che lascia un lunghissimo ricordo. Non sono molti i blanc de noirs in purezza, mentre più frequenti sono i blanc de blancs da Chardonnay, più suadenti negli aromi e delicati nella struttura, avvolti da un fascino sottile e discreto.

Spesso per cogliere il meglio di questi due frutti, vengono impiegati insieme, in proporzioni diverse a seconda del carattere che lo Spumante dovrà esprimere.

Possono essere utilizzati anche vitigni come il Pinot Meunier in Champagne, il Pinot Bianco, il Pinot Grigio e altri ancora, ma l’eccellenza viene raggiunta grazie a Chardonnay e Pinot Nero.

Uno Spumante metodo Classico molto particolare, dolce, aromatico e delizioso, viene ottenuto dal Moscato vitigno quasi sempre impiegato per regalare bollicine profumate e sbarazzine. Pur mantenendo la sua vivace personalità, nobilitato e ammorbidito dal lungo contatto con i lieviti, questo spumante rappresenta un’interessante rivisitazione, un ritorno alle origini della spumantizzazione del Moscato.

In ogni caso per la preparazione del vino-base, le uve vengono raccolte un po’ in anticipo, in modo da garantire l’indispensabile freschezza gustativa. Una pressatura soffice permette di estrarre un mosto fiore fine, da vinificare in bianco, per arrivare a una componente alcolica intorno all’11%. La fermentazione avviene a bassa temperatura in contenitori d’acciaio, anche se a volte viene svolta in barrique, per Spumanti più strutturati e complessi.

Negli Spumanti Rosé, la pennellata di colore può essere data da una piccola quantità di vino rosso. Ma quelli più raffinati si ottengono a partire da Pinot Nero, con una breve macerazione sulle bucce, che ne arricchisce il colore e il profumo, con sfumature di fiori rossi, fragoline di bosco, lamponi e ribes. E anche in bocca, una sottile persistenza gioca su tenue note fruttate.

Nella maggior parte dei casi, i vini-base di annate diverse vengono miscelati per formare la cuvée. Solo nel caso di vendemmie molto favorevoli e con le migliori partite vengono prodotti gli Spumanti Millesimati, con l’indicazione dell’annata in etichetta. Scelte mediante selezioni accurate danno i risultati più prestigiosi, in grado di perpetuare nel tempo la grandezza di questi Spumanti, che rimarranno a contatto con i lieviti anche per sette, otto anni, durante i quali il loro profilo sensoriale verrà impreziosito dal delicato ricamo di una mano misteriosa.

La cuvée ottenuta viene addizionata della liqueur de tirage, miscela contenente zucchero, lieviti e sostanze minerali necessarie per il loro sviluppo; successivamente viene posta nelle tradizionali bottiglie di vetro scuro e spesso, che verranno messe in commercio senza che lo spumante subisca alcuna filtrazione: Chiuse con il tappo a corona, le bottiglie vengono accatastate, in orizzontale, nelle cantine buie e fresche, dove rimangono per anni. Lentamente, lo zucchero viene trasformato da lieviti selezionati, che resistono all’alta pressione (fino a 6 atm!) e fermentano a temperatura molto bassa, producendo alcol etilico, aromi e CO che, finemente dispersa, crea un bellissimo perlage. L’alcol che si forma è poca cosa (poco più dell’1%) a conferma che il valore dello Spumante è legato alle eleganti e variegate sostanze secondarie che arricchiscono profumi e sapori.

Grazie ad una pressione leggermente inferiore e a bollicine discrete e meno prorompenti, si può distinguere il carattere più morbido e setoso del levigato Satèn, prodotto in Franciacorta a partire solo da uve a bacca bianca.

Conclusa la presa di spuma, lo Spumante inizia la lunghissima maturazione a contatto con i lieviti, cellule delicate che, senza più elementi di cui nutrirsi e sottoposte ad una pressione molto alta, muoiono e si rompono, liberando preziosi composti aromatici.

È proprio questo particolare bouquet, con ricordi di lievito o mollica di pane, che permette di riconoscere immediatamente questo Spumante. Ma non solo. Tra le sue pieghe odorose possono liberarsi a poco a poco anche sentori di frutta fresca, frutta esotica matura, mandorle o nocciole, delineati su un dolce sfondo floreale

Quando si ritiene che il tempo abbia concluso il suo compito, le bottiglie vengono sistemate sulle pupitre, cavalletti di legno con fori sagomati, nei quali le bottiglie vengono ruotate e inclinate da mani esperte, per raccogliere le fecce fino al tappo. Anche se oggi, in Italia come in Francia e in Spagna, molte aziende utilizzano veloci sistemi automatici.

Lo spumante metodo classico si presenta nel bicchiere splendente e luminoso. Eppure non viene filtrato. Per eliminare ogni particella che potrebbe causare torpidità o semplicemente ridurne la lucentezza, si procede con il dégorgement, o sboccatura. Il collo della bottiglia, capovolta, viene immerso in una soluzione molto fredda (-25°C), per congelare la parte di spumante che contiene i depositi. Quando si stappa, la pressione interna causa l’esplosione del cilindretto di ghiaccio in cui si erano raccolti i residui solidi, e consegna uno Spumante perfettamente brillante. Poiché in questa fase lo Spumante viene a contatto con l’ossigeno dell’aria, che ne accelera la maturazione, sempre più spesso l’epoca della sboccatura viene riportata sull’ etichetta. Prima di tappare la bottiglia con il classico e definitivo tappo a fungo, di sughero, per ammorbidire e caratterizzare lo Spumante, viene addizionata una piccola quantità di liqueur d’expédition, sciroppo che ogni azienda mantiene segreto, spesso a base di vino invecchiato e zucchero di canna. É questa l’ultimo tocco, la firma inconfondibile sullo Spumante. Se sull’etichetta si legge pas dosé, nature o altri sinonimi, lo Spumante è decisamente secco, perché nulla è stato aggiunto.

Guido Falgares

 

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